Perdomini-IOC, azienda leader nel settore enologico dalla vinificazione alla filtrazione del vino, offre servizi di consulenza tecnica ed una gamma completa di prodotti altamente innovativi, concepiti per raggiungere i più ambiziosi obiettivi enologici e per supportare il cliente dalla raccolta all’imbottigliamento. Sempre nel rispetto della salute del consumatore finale e dell’ambiente.

Uno degli obiettivi di Perdomini-IOC è legato all’implementazione di programmi di ricerca per lo sviluppo di protocolli di vinificazione specifici focalizzati nella riduzione dei solfiti e nella salvaguardia della salute dei consumatori.
Produrre vini senza solfiti è un obiettivo enologico sempre più ricercato dai produttori ma richiede un lavoro enologico serio e rigoroso.

Per approfondire questi aspetti abbiamo intervistato Roberta Bellini, QC-R&D lab manager and Reagulatory affairs di Perdomini-IOC.

Per quali motivi un consumatore dovrebbe scegliere vini senza solfiti aggiunti?
I solfiti sono un conservante allergenico aggiunto nel vino per contrastare l’ossidazione e la crescita di microrganismi. Produrre vini a basso contenuto di solfiti richiede molta maestria, nonché buon senso e un lavoro enologico serio e rigoroso.
Sebbene ogni operazione di cantina possa determinare l’esigenza di proteggere il vino da attacchi microbiologici o ossidativi, spesso la pericolosità di tali processi è determinata dal modo di operare del tecnico. La pulizia degli ambienti e dei macchinari, l’utilizzo di gas inertizzanti e il monitoraggio costante dei vini, permettono all’enologo di evitare aggiunte di solforosa superflue. Contemporaneamente, la ricerca scientifica ha permesso lo sviluppo di prodotti e coadiuvanti che consentono una riduzione della solforosa. Perciò, i vini a basso tenore di solfiti sono il risultato di un lavoro meticoloso nel tempo, spinto da una attenzione per i dettagli non indifferente, che si riflette indubbiamente e positivamente sulla qualità.
Ridurre completamente il tenore di solfiti aggiunti e, al contempo, mantenere una elevata qualità del vino non è però facile. Chi riesce a raggiungere, anche parzialmente, questo risultato probabilmente sta offrendo al consumatore un vino qualitativamente migliore.

Terroir, aromaticità ed unicità. Qual è il legame tra questi concetti e la ricerca di un processo di riduzione dei solfiti?
Le soluzioni per la riduzione dei solfiti nel processo di vinificazione non vanno in alcun modo ad “intaccare” la tipicità ed unicità di ciascun vitigno, al contrario, evitando il formarsi di off-flavours, in una corretta gestione del processo produttivo, sono un valido contributo all’esaltazione del terroir.

La longevità in bottiglia: i vini senza solfiti aggiunti non garantiscono integrità nel tempo?
La longevità di un vino è legata alla corretta gestione del processo produttivo, dalla raccolta all’imbottigliamento. Il concetto “low So2 solution”, non è sinonimo di riduzione della shelf life o della longevità. La scelta del lievito selezionato, la corretta gestione del fabbisogno nutrizionale, le pratiche di stabilizzazione, di chiarifica, i trattamenti pre-imbottigliamento, la filtrazione finale se condotti secondo protocolli specifici e con prodotti di alta qualità permettono di ottenere un vino stabile nel tempo riducendo di molto o addirittura azzerando il contenuto in solfiti.

Quali sono gli effetti negativi dell’utilizzo massiccio dei solfiti?
L’utilizzo massiccio di solfiti nel vino va analizzato sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, l’aspetto più importante è la sicurezza alimentare. Sebbene i limiti di legge siano ben al di sotto della soglia di tossicità, il raggiungimento del dosaggio massimo di solfiti non esclude la possibile insorgenza di reazioni allergiche o intolleranze in persone più sensibili. Questo è comunque un caso limite, in quanto generalmente, in un corretto processo di produzione di vino convenzionale, il dosaggio di solforosa non raggiunge mai i livelli massimi. Se ciò accadesse, vorrebbe dire che si sono verificate problematiche e situazioni anomale che hanno compromesso la qualità del prodotto, rendendolo probabilmente scadente anche per altri motivi (difetti sensoriali). Considerando, dunque, il profilo sensoriale del vino, dosaggi massicci di solforosa possono essere percepiti al naso mentre si ruota il calice. La solforosa infatti è caratterizzata da un odore pungente che disturba, e non poco, il profilo aromatico.

I lieviti bioprotettori, di cosa si tratta e quali sono i vantaggi?
Un’uva sana non è comunque esente da microrganismi. È ormai noto che sulla buccia potrebbe esserci un’elevata presenza di lieviti apiculati produttori di acidità volatile di tipo Hanseniaspora uvarum. Per contrastare questo problema, una soluzione ormai testata ed alternativa ai solfiti, è l’uso di un lievito bioprotettore. Un lievito bioprotettore è un microrganismo in grado di controllare la crescita della flora indesiderata in modo del tutto naturale. A questo proposito, nei riguardi dell’H. uvarum, l’Institut Francais de la Vigne et du Vin ha selezionato GAÏATM, un lievito Mestchnikowia fructicola, che risulta particolarmente efficace nel controllo microbico. Questo lievito non fermentativo, ossia non in grado di avviare una fermentazione alcolica e quindi trasformare lo zucchero in alcol, va ad occupare la stessa nicchia ecologica utilizzata dai microrganismi indesiderati. I vantaggi che ne derivano sono molteplici. Innanzitutto, l’anidride solforosa che viene utilizzata sull’uva e nel mosto per il controllo microbico, non è più necessaria; il lievito bioprotettore inibisce la crescita di microrganismi indesiderati. Quindi, come diretta conseguenza, si ha la mancata produzione di sostanze e aromi sgradevoli. Inoltre, senza il timore di avvii spontanei di fermentazione, è possibile effettuare macerazioni più lunghe in fase prefermentativa. Per concludere, non va dimenticato che si tratta di una soluzione completamente naturale.

Gli antiossidanti naturali, come si possono utilizzare e che efficacia hanno?
Da decenni è stato riconosciuto che il glutatione è utile ad evitare l’ossidazione dei composti aromatici e l’imbrunimento di mosti e vini ossidati. Il glutatione, o GSH, non è altro che un tripeptide che mostra un forte potere antiossidante. È presente naturalmente sia nell’uva che nel lievito, ma in un tenore spesso troppo ridotto per proteggere il vino con efficacia. È stato quindi sviluppato GLUTAROM EXTRA, un lievito inattivato ad elevatissimo contenuto di GSH. Aggiunto all’inizio della fermentazione, permette di innalzare la concentrazione di questo antiossidante naturale, assicurando al vino una migliore resistenza all’aria. Inoltre, è stato dimostrato che l’aggiunta di lievito inattivato ricco in GSH è più efficace per la protezione del contenuto aromatico rispetto all’aggiunta di glutatione puro. Questo avviene molto probabilmente per l’effetto nutritivo apportato dagli altri composti del lievito.
L’utilizzo di GLUTAROM EXTRA apporta una notevole riduzione della sensibilità ossidativa dei mosti e dei vini, che risulta di particolare importanza nel caso di vini a basso contenuto di solfiti. L’effetto di GLUTAROM EXTRA si manifesta anche quando non è più a contatto con il vino.

È possibile ottimizzare la fermentazione senza l’impiego della solforosa?
Certamente sì, non è solo la solforosa la molecola in grado di contrastare l’insorgenza di contaminazioni microbiche. Il chitosano ad esempio, derivato della chitina, di origine vegetale è un potente antiossidante naturale che consente una vinificazione senza solfiti.