È una vera soddisfazione poter vedere pubblicato il Rapporto dell’ISMEA per la Rete Rurale Nazionale dal titolo “Il Mercato del vino in Italia e nel Mondo prima e dopo il Covid-19”. Una ricerca alla quale abbiamo dato il nostro contributo attraverso un’indagine sull’impatto di Covid-19 effettuata sia presso un campione di imprese del vino italiane, sia tra alcuni buyer internazionali, allo scopo di fornire indicazioni utili su come gli operatori del mercato stiano concretamente reagendo alla crisi determinata dalla pandemia, e su quali siano le loro percezioni per i mesi futuri.
Collaborare con ISMEA è stata una straordinaria esperienza sia sul piano umano che professionale, lo voglio dire in premessa a questo editoriale. Umano perché il team di ISMEA che ha contribuito alla realizzazione di questo Rapporto è stato sempre assolutamente disponibile e, soprattutto, paziente. Cito nello specifico Tiziana Sarnari e Linda Fioriti che mi hanno offerto un supporto costante per portare a termine al meglio un lavoro decisamente vasto e alquanto complesso. Sul fronte professionale, poi, è stata un’opportunità fantastica perché ha consentito al mio gruppo di lavoro di affrontare un’analisi approfondita del settore vitivinicolo in una delle fasi più complesse della sua storia. Se a questo aggiungo il vantaggio di poter collaborare con Rafael Del Rey, il direttore dell’Oemv (Osservatorio spagnolo del mercato del vino – www.oemv.es), uno dei più esperti analisti dei mercati mondiali del vino, posso ritenermi assolutamente fortunato.
Per fare una sintesi adeguata di un Rapporto veramente vasto e ricchissimo di spunti di riflessione, “sfrutto” le parole del prof. Eugenio Pomarici, professore ordinario all’Università degli studi di Padova, che ha redatto una perfetta prefazione al Rapporto. Penso che nessuno meglio di lui avrebbe potuto dare la migliore interpretazione al nostro lavoro, riuscendo anche ad individuarne il possibile utilizzo nell’indirizzo delle future politiche vitivinicole e nelle scelte strategiche delle imprese del vino italiane.
“Come ben documentato nel testo – scrive Pomarici – la crisi sanitaria ha determinato a livello globale una riduzione quantitativa abbastanza contenuta dei consumi e del commercio internazionale, quindi delle vendite in volume, ma una riduzione importante del valore complessivo del giro d’affari. Gli attori della filiera del vino hanno dovuto fronteggiare situazioni individuali molto differenziate: quelli che avevano nel mercato della ristorazione il principale sbocco sono stati particolarmente colpiti mentre quelli più legati alla grande distribuzione possono aver addirittura migliorato fatturato e profitto. Nel suo complesso il sistema produttivo vitivinicolo in Italia e nel mondo non ha in genere subito interruzioni o limitazioni significative della sua operatività; le restrizioni alle attività produttive imposte durante il lockdown non hanno (tranne eccezioni) riguardato le imprese vitivinicole e il sistema distributivo intermedio ma solo la ristorazione e, in alcuni periodi, segmenti della vendita al dettaglio”.
“Le imprese vitivinicole – prosegue nella sua prefazione il prof. Pomarici – sono state in grado di adottare i protocolli prescritti per svolgere in sicurezza le attività e anche di fronteggiare i problemi di disponibilità di manodopera causati dalle limitazioni agli spostamenti internazionali.
Si può quindi osservare che nel suo insieme il sistema produttivo e distributivo del vino, in Italia come in altri paesi produttori, ha mostrato una notevole resilienza e al tempo stesso il vino si è rivelato come un prodotto ben radicato nel sistema dei consumi nazionali e anche internazionali”.
“Certamente, però – sottolinea Pomarici – il mercato del vino è stato cambiato dalle vicende di questi mesi e quanto avvenuto nel 2020 in termini di struttura dei flussi dalla produzione al consumo non passerà senza lasciare traccia, modificando in modo permanente sistemi di distribuzione, modelli di relazione e, in definitiva, rapporti competitivi. L’adattamento alla crisi ha imposto agli operatori dell’offerta riorganizzazioni delle strategie distributive e quindi modelli di business in parte nuovi, mentre la necessità di mutare abitudini di approvvigionamento e consumo del vino ha fatto scoprire ai consumatori opportunità di acquisto e consumo alternative. Tutto questo determinerà un’accelerazione delle dinamiche evolutive del sistema globale del vino rispetto alle quali tutte le parti interessate, ciascuna secondo la sua competenza, dovrà contribuire all’individuazione delle azioni da mettere in atto immediatamente per rilanciare il mercato del vino man mano che l’emergenza sanitaria si attenuerà, nonché delle linee strategiche per progettare la nuova politica del vino italiano nel quadro della PAC riformata”.
“Particolarmente interessante – evidenzia Pomarici – il collegamento che viene fatto tra il tema dell’equilibrio tra domanda e offerta e la struttura del sistema di offerta. In primo luogo, si pone in luce la problematicità della non completa integrazione tra produzione primaria e distribuzione del vino; buona parte dei viticoltori prende infatti decisioni di produzione senza una conoscenza del mercato finale, creando talvolta le condizioni per la creazione di surplus che deprimono principalmente i redditi della componente agricola del settore vitivinicolo. Da questa prospettiva appaiono quindi opportune le misure di gestione dell’offerta previste dalla normativa comunitaria, che sono rese operative in Italia per i vini a denominazione dalla legge 238/2016 (art. 39), e che si dovrebbe valutare di estendere anche ai vini a indicazione geografica”.
“Sempre in tema di struttura del settore – aggiunge Pomarici – il Rapporto offre un chiaro quadro concettuale che appare particolarmente utile per leggere la struttura dell’offerta del vino italiano, spesso accusata di essere “debole” perché (troppo) ricca di piccole imprese. Viene chiarito che la peculiare diversificazione verticale dell’offerta (dai vini quotidiani a bassissimo prezzo alle iconiche bottiglie da migliaia di euro), nonché un sistema distributivo del vino che per quanto riguarda le bottiglie di pregio maggiore è estremamente frammentato (centinaia di migliaia di bar e ristoranti e decine di migliaia di enoteche), determina condizioni che giustificano la compresenza di imprese di dimensione molto diversa”.
“L’indagine sulle imprese e sui buyer internazionali – spiega Pomarici – rivela uno scenario diversificato nel quale, sia per quanto riguarda i produttori che i distributori, a fronte di una quota maggioritaria di imprese che hanno sofferto in modo più o meno grave la crisi, una frazione non irrilevante non ha subito contrazioni di reddito o addirittura ha registrato miglioramenti. Relativamente ai produttori, certamente questa diversità è spiegata dalla maggiore o minore dipendenza dai canali distributivi finali più colpiti dalla crisi. L’indagine, tuttavia, getta luce anche sul fatto che tra le imprese che compongono il settore vitivinicolo italiano, settore che ha mostrato negli ultimi anni una performance complessivamente soddisfacente, già prima della pandemia era presente una quota di imprese con una intrinseca minore capacità di reagire ai cambiamenti del mercato a causa di molteplici fattori”.
In conclusione ci piace riprendere il “decalogo per ripartire” frutto delle indicazioni emerse dalla nostra indagine. Di seguito riportiamo i dieci punti emersi.
1 – Aumentare la capacità di analisi della propria azienda – lo studio ha messo in evidenza la difficoltà di molte imprese del vino italiane di avere un quadro preciso dello stato di salute della propria azienda, dei punti di forza e di debolezza.
2 – Investire nell’analisi dei mercati – questa emergenza ha reso ancora più urgente la necessità delle imprese del vino italiane di migliorare la loro capacità di lettura dei mercati. Sono ancora molti gli imprenditori del vino italiani che definiscono le proprie strategie attraverso l’intuito e non attraverso analisi dettagliate. In questo senso, un osservatorio economico ufficiale per il settore sarebbe sicuramente uno strumento di grande utilità e supporto alle imprese.
3 – Definire in maniera dettagliata il proprio target di riferimento – la strategia del “piacere a tutti”, spesso intrapresa da molte PMI del vino italiane, si è dimostrata, anche in questa fase così complessa, uno dei principali limiti al conseguimento di una corretta reputazione e posizionamento di molte aziende.
4 – Migliorare la propria capacità di diversificazione della distribuzione – questa emergenza pone, in qualche misura, la parola fine alle “ideologie” sui canali di distribuzione, obbligando le aziende a valutare le proprie strategie distributive con un atteggiamento molto più aperto capace di interpretare al meglio le possibili alternative.
5 – Migliorare la propria capacità di diversificazione della comunicazione – questa emergenza ha evidenziato come le aziende capaci di utilizzare al meglio i diversi canali di comunicazione, a partire dai social media, sono quelle che sono riuscite a rendersi maggiormente visibili in una fase così complessa.
6 – Definire una chiara identità del proprio marchio – se già prima il tema della riconoscibilità era centrale per le imprese del vino, questa emergenza ha accelerato enormemente la necessità che le aziende siano in grado di rendere riconoscibile i diversi fattori identitari del proprio brand.
7- Accettare le opportunità di fare rete – l’aggregazione tra le imprese, nelle diverse forme possibili, a partire da quella consortile all’interno della propria denominazione, appare oggi come una risposta fondamentale per la maggioranza delle imprese del vino italiane che oggi rischiano seriamente di rimanere isolate.
8 – Aumentare la personalità dei vini – dare per scontato la qualità dei propri prodotti è un limite pericoloso per molte aziende che oggi presentano vini “corretti”, ma non con la personalità che gli consentirebbe di rendersi riconoscibili e, soprattutto, coerenti con il posizionamento richiesto.
9 – La necessità di avere una visione aziendale di medio lungo periodo – molte aziende continuano a “navigare a vista” e questo impedisce loro di definire strategie di maggiore gittata, che gli possano consentire, inoltre, un monitoraggio più preciso e affidabile della validità delle loro scelte e delle loro performance.
10. Investire in formazione – mai come oggi è centrale il tema della competenza delle risorse umane. Dopo decenni di centralità sul prodotto oggi è fondamentale entrare nella fase della centralità delle competenze, che consentiranno quell’indispensabile evoluzione dell’imprenditorialità nel settore vitivinicolo italiano. Tra le competenze chiave sicuramente quelle relative alla digital transformation.