Se c’è una cosa che spesso manca alla comunicazione del vino è il coraggio. Tendenzialmente, la gran parte delle aziende si racconta in maniera autoreferenziale e questo tende ad appiattire, a rendere scontati e banali molti dei contenuti comunicativi.

L’esatto contrario di quanto ha fatto Mandrarossa – il noto brand top della storica cooperativa siciliana Settesoli – che il 23 agosto scorso ha organizzato nelle splendida e suggestiva nuova cantina di Menfi una degustazione che definire eccezionale non è un’esagerazione.
Sono state messe in degustazione, infatti, alcune eccellenze di Mandrarossa – a partire dal Fiano Terre Siciliane IGT 2021 Bio con il quale la cantina cooperativa menfitana ha conquistato una Medaglia Platino al Decanter Wine Award con uno straordinario 97/100, il più alto punteggio ottenuto da un vino italiano nel prestigioso concorso internazionale – a confronto con altre etichette di grido siciliane e internazionali. Il tutto rigorosamente alla cieca prendendosi un rischio di non poco conto, considerando che l’azienda aveva affidato, in totale libertà, il compito della selezione a Gabriele Gorelli, il primo Master of wine italiano.

Gli stessi rappresentanti dell’azienda che hanno partecipato al tasting, a partire dal presidente Giuseppe Bursi, non conoscevano come i loro vini erano stati inseriti nella scaletta della degustazione.
Altro aspetto importante da sottolineare era il principale obiettivo della degustazione e cioè quanto i vini Mandrarossa fossero espressione autentica del territorio di produzione. E anche quest’ultimo aspetto va assolutamente sottolineato, considerando quante volte le aziende enfatizzano il rapporto tra i loro vini e il territorio di origine ma sono molto poche quelle che poi lo dimostrano concretamente.

E per comprendere la filosofia produttiva di Mandrarossa è stato prezioso il contributo portato da Alberto Antonini, consulente enologico del più prestigioso brand di Settesoli dal 2014 e sicuramente uno dei più autorevoli enologi a livello internazionale, nonché straordinario divulgatore.
La premessa alla degustazione di Antonini è stata uno dei migliori “storytelling tecnici” che mi sia mai capitato di ascoltare. Antonini ha sottolineato le correlazioni tra i 5 suoli che caratterizzano la produzione Mandrarossa citando il grande Pedro Parra, probabilmente il maggior esperto internazionale del rapporto tra il vino e il suo terroir (il suo libro “Terroir Footprints” è un must per chi vuole approfondire la tematica delle relazioni tra vino e territorio di origine, a partire dal ruolo dei suoli).

“Per noi una degustazione di questo tipo – ha spiegato Antonini – è molto importante perché vogliamo far emergere la nostra scelta vitienologica che ha l’obiettivo di far parlare per primo il territorio. E su questo fronte per noi diventa fondamentale massimizzare l’assorbimento dei minerali presenti nella parte più bassa del suolo, la cosiddetta roccia madre dove è maggiore la loro presenza”.

Il tutto all’insegna di un’enologia votata al “less is more”, “ma affinché si possa realizzare una strategia enologica meno invasiva – ha ottimamente sottolineato Antonini – devi essere molto più competente, studiare in maniera approfondita il tuo terroir. Quindi per essere “less” in vigna e cantina devi essere “more” nelle tue conoscenze”.

Ma la sfida di Mandrarossa risiede anche sul fronte del biologico. Il presidente Bursi, a tal riguardo, ha evidenziato come oggi Settesoli può godere di circa 1.000 ettari di vigneto biologico (un vero e proprio record anche a livello internazionale). “Siamo senza ombra di dubbio – ha sottolineato Bursi – la cooperativa con più uva biologica del nostro Paese. Per noi la scelta bio è un qualcosa che va aldilà del mercato, è un fattore determinante della nostra identità produttiva e per questo, ad esempio, facciamo controlli supplementari oltre a quelli ufficiali: perché vogliamo avere e dare assolute garanzie su questo fronte”.

Ma veniamo alla degustazione, ottimamente guidata dal bravo Gorelli che ha subito sottolineato come Mandrarossa rappresenti, grazie alle scelte strategiche di Settesoli, “una cantina visionaria che oggi raccoglie i frutti dei tanti investimenti fatti in questi anni sul fronte qualitativo. E questo tasting lo vuole testimoniare concretamente, confrontando il loro lavoro con quello di altre prestigiose realtà siciliane e internazionali”.

Si è partiti con il Fiano – che in batteria aveva due altri Fiano italiani del calibro del Pietracalda 2021 di Feudi San Gregorio e il Radici 2021 di Mastroberardino – che non solo è stato da tutti riconosciuto ma sempre a tutti sono apparse evidenti le ragioni che l’hanno portato al prestigioso riconoscimento del Decanter Wine Awards.

Molto interessante anche il confronto tra lo Chardonnay 2021 di Mandrarossa con due famosi internazionali come il Los Vascos 2021 e il Koonunga Hill 2022 di Penfolds. Una perfetta testimonianza di come il terroir può incidere in maniera straordinaria sul vitigno bianco più apolide al mondo.

Ma forse i confronti più interessanti e utili sono stati quelli dedicati a due grandi vini siciliani come il Grillo e il Nero d’Avola. Due tipologie che, da molti anni, sono alla ricerca di un’identità più riconoscibile e legata ai propri territori di origine.
Per certi aspetti, forse, è stata la prima volta in cui c’è stata la possibilità di fare emergere attraverso un tasting le diverse anime di questi due grandi vini siciliani ma, al tempo stesso, la necessità di raccontarli al mondo in maniera più chiara e riconducibile alla loro origine più autentica.
E, su quest’ultimo fronte, Mandrarossa sta tracciando una via decisamente importante anche per la Sicilia del vino nel suo complesso.