La vendemmia di quest’anno ha richiesto molta energia: l’elevata siccità e le temperature ben al di sopra delle medie stagionali hanno comportato un grande lavoro da parte dei conferitori della cooperativa, che, per DNA e tradizione, conoscono bene i segreti per gestire le piante a temperature che raggiungono spesso i 40°; si ha tuttavia la percezione, in questi ultimissimi anni, che l’attenzione del singolo produttore non sia sufficiente, soprattutto alle latitudini più esposte al riscaldamento globale.
Presidente, quali sono i risultati del grande impegno profuso quest’anno in vigna dai vostri vignerons?
Le particolarità della stagione estiva hanno comportato una leggera flessione delle quantità, ma sotto il profilo qualitativo possiamo dire che i bianchi 2021 hanno particolari tratti di freschezza e profumi molto interessanti; i rossi manifestano corpo, intensità e potenza. Siamo molto soddisfatti della ultima vendemmia. Ci rendiamo conto, tuttavia, che di fronte a manifestazioni climatiche estreme come quelle di quest’anno, gli sforzi di chi lavora la terra, e di chi poi deve lavorare il frutto, dovrebbero essere accompagnati a livello istituzionale, per fare in modo che a sostegno della filiera possano essere convogliate risorse specifiche. L’ottimizzazione delle risorse idriche, la gestione del suolo e la produttività del vigneto non possono essere gestite dal singolo coltivatore: occorrono modelli scientifici da applicarsi alle specificità dei territori.
Come sta vivendo CVA questa stagione di ripartenza e quali sono le novità per il mercato?
Voglio ricordare che, come tutto il mondo del vino, noi non ci siamo mai fermati; la natura detta legge e per rispondere a questa legge, il nostro impegno è stato massimo, come cooperativa, nel difendere il nostro mercato dagli effetti della pandemia. Lavorando molto con l’horeca abbiamo pagato profondamente questo costo globale. Ma oggi guardiamo con ottimismo al futuro e all’orizzonte abbiamo visto la possibilità di ampliare la nostra gamma con una nuova linea di produzione che, uscendo dai confini dell’agrigentino, valorizza un territorio che sta guadagnando una fama e un apprezzamento senza pari sui mercati di tutto il mondo: l’Etna è diventato un luogo iconico e rappresentativo della Sicilia enologica e abbiamo voluto arricchire la nostra offerta mettendoci in gioco con un accordo commerciale e di produzione con l’azienda Nicosia, storico produttore dell’Etna, che ci ha messo a disposizione i propri terreni e la propria produzione, in forza di un rapporto di concessione. I nostri tecnici vinificano presso la cantina etnea e imbottigliano sull’Etna, dando vita a due etichette targate “Versante 700 – Etna Rosso” e “Versante 700 – Etna bianco”, rispettivamente a base di Nerello Mascalese e Carricante-Catarratto. La nuova linea è stata presentata al mercato in occasione del Vinitaly Special Edition e stiamo riscontrando già un grande interesse, primo fra tutti da parte del Giappone.
Tornando in territorio agrigentino, qual è l’impegno attuale di CVA sul fronte della valorizzazione della sua tipicità territoriale?
La zona di Canicattì e i suoi dintorni è particolarmente vocata per la produzione di Nero d’Avola: pur trattandosi di un vitigno emblematico per l’intera isola, qui, in una decina di comuni della Sicilia centro-meridionale che ricadono nelle province di Agrigento, Caltanissetta e Palermo, il Nero d’Avola acquista un particolare carattere. Stiamo lavorando con altre cooperative del territorio, e con il supporto dell’Istituto Vite Vino, per tracciare i confini di una zonazione che individui le caratteristiche del vitigno in questa parte dell’isola.
Come prosegue l’impegno della cooperativa nel biologico?
La nostra linea Bio copre attualmente il 15% della nostra produzione; stiamo crescendo gradualmente su questo fronte e stiamo aumentando il numero dei conferitori certificati Bio, oggi pari a 20.
Far crescere la cooperativa sul fronte del biologico rappresenta un grande impegno, in termini di tempi, risorse e conseguentemente costi. Ad oggi il mercato non è ancora pronto a premiare il biologico quanto sarebbe necessario, non siamo ancora in un contesto tale da assorbire la “premiumizzazione” del Bio. Lo sforzo per convertire in biologico la produzione del vigneto Italia dovrebbe essere ripartita sull’intera filiera, mentre di fatto questa fetta di mercato rappresenta ancora una nicchia, con la conseguenza che i costi vengono assorbiti esclusivamente dai produttori. Un esempio fra tutti: la produzione Bio ha bisogno di una intensa e mirata attività di comunicazione, per creare tra i consumatori quel livello medio di alfabetizzazione che consenta di riconoscere al prodotto Bio il premio che merita.