Quando nel gennaio 2020 Wolfgang Raifer ha preso il testimone a Bruno Trentini alla direzione della Cantina di Soave sicuramente era cosciente della grande responsabilità di gestire una delle più importanti cooperative vitivinicole europee, ma sicuramente non poteva prevedere che il suo primo anno sarebbe stato contrassegnato anche da una grave pandemia.

Ma sarà anche per il suo spirito altoatesino, che lo fa apparire sempre calmo e razionale, la nostra intervista a Raifer ci ha fatto incontrare un manager cosciente delle difficoltà ma anche molto sereno e determinato, convinto che i valori di Cantina di Soave consentiranno alla nota cooperativa veronese di attraversare al meglio anche questa complessa emergenza.

Sicuramente è stata preziosa per Raifer l’esperienza di tre anni da vicedirettore a fianco di Bruno Trentini che ha rappresentato uno dei manager più autorevoli ed esperti della cooperazione vitivinicola del nostro Paese. Se a questo aggiungiamo l’esperienza di Raifer alla direzione della prestigiosa Cantina di Colterenzio, si può affermare che il quarantottenne dirigente altoatesino aveva ed ha tutte le carte in regola per gestire un “colosso” come la Cantina di Soave che conta ben 2.400 soci per una superficie vitata di 6.400 ettari, molto più vasta di tante denominazioni del vino italiane.

“Certo – racconta subito Raifer – ho avuto un battesimo del fuoco molto duro con una pandemia che non ha precedenti almeno nella storia moderna. Ancora oggi non riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel ed indubbiamente l’impatto, soprattutto sul fronte psicologico, è forte. In particolare stanno soffrendo i nostri commerciali, a partire dagli export manager, abituati a muoversi in continuazione ed oggi costretti a stare fermi. Noi comunque complessivamente non possiamo lamentarci perché grazie alla grande distribuzione non ci siamo mai fermati, come pure abbiamo sempre mantenuto i contatti con i nostri clienti anche del canale horeca”.

“Sul piano aziendale, inoltre – prosegue Raifer – siamo riusciti a limitare la diffusione del contagio e non abbiamo utilizzato nessun ammortizzatore sociale. Senza dimenticare che abbiamo mantenuto attivi tutti i contratti con i nostri clienti. È chiaro che la crisi del canale tradizionale sta avendo un impatto grave in tutti i principali mercati del vino. Il canale moderno, però, ci sta dando ottime risposte tanto che nel 2020 abbiamo registrato incrementi nel Regno Unito, in Germania e nei Paesi scandinavi. Complessivamente il nostro export nel 2020 è cresciuto del 7% in valore, ma non ci accontentiamo perché siamo convinti che il nostro portfolio abbia un ottimo appeal anche sul fronte internazionale.”.

Molto chiara la posizione del direttore di Cantina di Soave anche nei confronti del cosiddetto new normal.

“Ritengo che il nostro settore – spiega Raifer – non possa fare a meno dei contatti personali diretti che sono fondamentali per costruire relazioni efficaci e durature. Non si possono però non evidenziare anche le positività e i vantaggi offerti dagli strumenti digitali anche sul fronte commerciale e della comunicazione. Per questa ragione ritengo che anche nel prossimo futuro tali strumenti potranno essere preziosi per alcuni meeting con i nostri partner commerciali, ma anche per comunicare ad un target sempre più vasto la nostra identità e la nostra offerta. Non immagino invece sia possibile sostituire le fiere tradizionali che le ritengo tutt’oggi indispensabili soprattutto per presentare nuovi prodotti che vanno “raccontati” e “toccati” per essere percepiti nella maniera più adeguata”.

E riguardo al canale e-commerce?

È un canale – sottolinea Raifer – che abbiamo attivato a livello aziendale dal 2017 come pure utilizziamo anche piattaforme terze. I numeri allo stato attuale sono ancora sostanzialmente piccoli ma non c’è dubbio che questo canale si svilupperà notevolmente anche in futuro”.

La Cantina di Soave è storicamente il player più importante della doc Soave, per questo risulta molto interessante conoscere le percezioni della denominazione da questo autorevole osservatorio.

A nostro parere il Soave continua a rappresentare il vino bianco degli italiani che ha conosciuto un successo dalle fasi alterne. Ma dal nostro osservatorio possiamo affermare con certezza che si tratta di una denominazione che ha ancora molte potenzialità e che non ha ancora oggi sfruttato del tutto la sua forza. È chiaro che il momento non è facile soprattutto per quelle realtà che hanno come canale di vendita solo l’horeca ma sono altrettanto convinto che la diversificazione del tessuto produttivo del Soave sia un fattore di forza per l’immagine complessiva della denominazione”.

La Cantina di Soave è stata tra le realtà italiane che prima d’altre ha creduto allo sviluppo dell’accoglienza, dell’enoturismo. Rocca Sveva rappresenta tutt’oggi uno degli investimenti più interessanti e dinamici nel panorama enoturistico italiano.

“Abbiamo creduto all’importanza dell’accoglienza in tempi non sospetti – evidenzia Raifer – quando erano ancora in pochi a crederci. L’investimento fatto dalla nostra Cantina e dai nostri soci nel progetto Rocca Sveva è tra i più ingenti a livello nazionale ma per noi rimane altamente strategico. Il contatto diretto con  il cliente, infatti, per noi rimane fondamentale e per questa ragione siamo convinti che il successo del Soave sarà sempre di più legato all’apertura del territorio verso i turisti”.

Voi rappresentate una grande cooperativa, ritenete che in Italia sia ancora molti i pregiudizi nei confronti di questa tipologia di impresa?

“Sono nato nella cooperazione altoatesina – racconta Raifer – dove i pregiudizi nei confronti della cooperazione vitivinicola non esistevano e non esistono. Venendo in Veneto alcuni di questi pregiudizi indubbiamente li ho percepiti anche se devo ammettere che mi sembra che siano sempre più deboli di anno in anno. Inoltre va sottolineato come spesso queste visioni negative nei confronti della cooperazione sono più forti in Italia rispetto ai contesti internazionali. In giro per il mondo, infatti, non ho mai trovato un buyer che avesse qualche pregiudizio o perplessità nei confronti delle imprese cooperative. Penso inoltre che la possibilità della cooperazione di gestire tutta la filiera continui a rappresentare uno straordinario valore aggiunto”.

Parlando di cooperazione non si può non affrontare il tema della frammentazione del tessuto produttivo italiano. Ritiene che questa polverizzazione sia un grave limite per lo sviluppo della competitività del nostro sistema vitivinicolo?

“Non lo vedo come un problema. La pluralità di voci nel territorio – risponde Raifer – può essere considerata una forza. Nel caso del Soave, ad esempio, noi abbiamo indubbiamente un grande peso ma il ruolo delle piccole e medie imprese private è strategico per elevare complessivamente l’immagine e il posizionamento della denominazione. Non sarà mai quindi un’azienda da sola a dare forza ad un territorio ma tutti i protagonisti, grandi e piccoli, della denominazione devono dare il loro contributo. Per questa ragione guardo sempre con positività la nascita di nuove realtà anche nel nostro territorio”.