Al netto di tutte le considerazioni che si possono fare su Australia, Cina, dazi e pandemia, la prima cosa su cui si deve riflettere è la necessaria multidirezionalità e multicanalità che il mercato del vino deve avere. La strategia interna multicanale – ristorazione, enoteche e scaffali, e-commerce – così come l’apertura ad una pluralità di mercati, è più che mai fondamentale. Ce lo insegna il commercio di vino australiano, fortemente penalizzato dai dazi cinesi; ce lo insegna il Regno Unito che, nonostante l’instabilità Brexit, si conferma molto recettivo; ce lo insegna il mercato nazionale interno che, nonostante lo shock pandemia, ha saputo arginare con buone performance, la mancanza del canale Horeca indirizzandosi, ad esempio, sull’e-commerce.

Da Melbourne, Australia, la CNN Business riporta le drammatiche testimonianze dell’enologo Jarrad White del Sud Australia che, dopo aver impiegato dieci anni per costruire in Cina la sua attività imprenditoriale, nel giro di pochi mesi ha visto andare in fumo tutto il suo lavoro. Il problema non ha riguardato la qualità dei suoi vini provenienti dall’eccellente vigneto in McLaren Valley, una delle principali regioni vinicole del South Australia, ma il risultato delle continue scaramucce diplomatiche tra Cina e Australia, peggiorate al punto da far crollare completamente il mercato australiano e, parallelamente compromesse dal grave errore di concentrare tutto l’export su un solo mercato. White ha investito nel mercato cinese talmente tanto da essersi addirittura trasferito a Shanghai per creare una vasta rete di distributori per Jarressa Estate Wines, invogliato dalla crescente richiesta di vini stranieri da parte del ceto medio cinese.

A metà del 2020, oltre il 96% dei vini di Jaressa Estate, fino a sette milioni di bottiglie annue, erano prodotte solo per la Cina. Da novembre, da quando Pechino ha annunciato dazi del 212% come provvedimento successivo all’inchiesta “antidumping”, voluta dai produttori cinesi che lamentavano concorrenza sleale e prezzi troppo bassi, White non ha venduto più una sola bottiglia. Bancali di vino sono attualmente stipati in un magazzino di Adelaide, in attesa che la situazione si risolva.

Il vino australiano era stato già precedentemente colpito nel corso del 2020 da eventi atmosferici che avevano penalizzato le aziende agricole riducendo le rese del 40%. Niente rispetto a quello che sarebbe successo dopo: una tensione sul fronte commerciale che partirebbe dalla richiesta dell’Australia di un’indagine verso il governo cinese sull’origine del Covid-19. Hua Chunying, portavoce del ministero degli esteri cinese, risponde alle accuse ribadendo che la causa delle tensioni è dipesa dal comportamento australiano, reo di aver violato le norme fondamentali che governano le relazioni internazionali. Le misure adottate sarebbero quindi necessarie per fermare le importazioni a basso costo che hanno depresso il mercato locale. In realtà non si tratta solo di vino: anche la carne, il legname e molto altro sta risentendo delle tensioni tra Canberra e Pechino. “L’unico mercato realmente attivo non è più recettivo – riferisce White. I dazi ci stanno danneggiando in modo drammatico. Molti ordini evasi devono essere ancora pagati e quelli pianificati sono rimasti in sospeso”. Ma non è tutto. Centinaia di produttori di vino australiani che hanno investito tutto nel boom cinese stanno affrontando un futuro incerto. Nel mese di dicembre il valore delle esportazioni verso la Cina è sceso quasi a zero e, secondo le statistiche del gruppo industriale Wine Australia, in tutto il 2020 sono diminuite del 14%, decrescendo ad un valore di circa 1 miliardo di dollari australiani (790 milioni di dollari).

L’Australia è il quinto più grande esportatore di vino al mondo vantando rinomate regioni vinicole come Barossa Valley (South Australia) e la Hunter Valley (New South Wales). Secondo Wine Australia, ogni anno l’industria del vino contribuisce all’economia del paese per un valore di 35 miliardi di dollari (45 miliardi di dollari australiani). Prima di novembre, la Cina era per l’Australia il più grande mercato del vino. Nel 2019, più di un terzo del vino esportato dall’Australia è andato in Cina che ne ha comprato per 840 milioni di dollari (1,1 miliardi di dollari australiani). Sempre nel 2019, l’Australia ha venduto più vino (in termini di valore) alla Cina che agli Stati Uniti, Regno Unito e Canada insieme. Alister Purbrick, produttore vittoriano di quarta generazione e, amministratore delegato del gruppo Tahbilk, ha ricordato che l’Australia ha costruito da lontano la sua attività verso la Cina, ma le vendite sono decollate solo nel 2015 quando tra i due paesi è stato firmato l’accordo di libero commercio che ha cancellato i dazi del 14% alimentando un settore già in crescita. Tra il 2008 e il 2018, le esportazioni di vino dall’Australia alla Cina sono balzate da 73 milioni di dollari a oltre 1 miliardo. La domanda cinese di vino non si è limitata alla sola Australia. La Francia è ancora in testa come esportatore leader (l’Australia solo seconda); il mercato chiede anche le vantaggiose etichette cilene. Tra i vini australiani le varietà rosse sono le preferite, anche se recentemente i consumatori si stanno indirizzando verso spumanti e vini bianchi. Secondo Zheng Li, titolare di un’azienda vinicola a Hangzhou, il vino australiano ha avuto grande successo in Cina perché è tra i migliori e tra i più economici. L’importante gradazione alcolica piace ai consumatori cinesi abituati al Baijiu, distillato popolare a base di riso. Uno degli altri vantaggi per il quale scelgono il vino australiano è la facile comprensione dell’etichetta rispetto alle bottiglie europee.

“È importante sottolineare come il boom del vino sia stato anche il risultato di anni di lavoro da parte dell’Australia, che ha preso come riferimento la crescente classe media cinese, sviluppando una precisa comunicazione con campagne di marketing, di formazione e di pubblicità – ricorda Lee McLean, direttore generale di Wine Australia -, oltre che di relazioni con il governo e gli affari esterni. Sommelier e produttori di vino cinesi hanno potuto visitare l’Australia in questi anni insieme a molti gruppi di turisti, approfondendo la conoscenza del territorio e il settore enologico al punto che, alcune aziende vinicole impiegano traduttori dal mandarino per favorire il turista cinese.

Lo sguardo dell’Australia punta ora oltreoceano alla ricerca di nuovi mercati, consapevoli però che quanto perso in Cina difficilmente potrà essere colmato in termini di potere d’acquisto. Forse l’India con la sua economia in rapida crescita, potrebbe essere un’alternativa oppure altri mercati come il Kazakistan e l’Uzbekistan, potenziali porte d’ingresso. Accordi con il Regno Unito, nel rispetto della Brexit, potrebbero aprire a nuove opportunità a patto però che si riducano i dazi d’ingresso per i vini australiani.

Una cosa è chiara: mai dipendere da un singolo mercato. Nella globalizzazione risiedono, infatti, grandi possibilità di crescita economica.