L’evento organizzato da Vitevis, società cooperativa agricola nata nel 2015  che raccoglie 1.350 soci su un territorio di 2.800 ettari di vigneti, dal titolo “Vini buoni per la terra – il percorso green di Vitevis” è stata l’occasione per presentare al pubblico gli obiettivi concreti raggiunti ed i traguardi futuri della cooperativa nel campo della sostenibilità ed ha rappresentato un momento di riflessione sulla necessità di una presa di coscienza del settore vitivinicolo, punta di diamante dell’intero settore alimentare italiano.

L’evento ospitato nella cornice del Teatro Comunale di Vicenza e moderato dal Direttore di Wine Meridian, Fabio Piccoli, ha visto la partecipazione di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, gastronomo, sociologo, attivista, giornalista e personalità di grande rilievo (unico italiano inserito dal quotidiano inglese Guardian tra le 50 personalità che “potrebbero salvare il pianeta”), da sempre impegnato per una agricoltura sostenibile in grado di coniugare rispetto per l’ambiente, benessere animale e diritti delle persone.

Petrini ha subito voluto mettere in chiaro che “L’attuale sistema alimentare nel suo complesso è il principale artefice (37%) della produzione di Co2, molti pensano sia la mobilità ma questo settore immette nell’atmosfera solo il 17% della Co2 totale”.

In relazione al tema cardine dell’incontro, la sostenibilità, Petrini ha preso in esame l’etimologia di questo termine: “In particolare noi italiani colleghiamo il termine sostenibilità al verbo ”sostenere” ma non è così, l’etimo proviene da “sustain” che è il pedale del pianoforte che allunga il suono di una nota, i nostri cugini francesi giustamente traducono sostenibile in “durable” cioè durevole. Questo significa che una delle caratteristiche principali della sostenibilità è garantire una durabilità superiore. Il termine sostenibile è rivoluzionario, si tratta di paradigmi economico-politici diversi rispetto a quelli con cui noi siamo cresciuti”.

Petrini ha fatto riferimento al percorso ed agli impegni assunti da Vitevis nell’ambito della sostenibilità: “L’implementazione di energie alternative, la riduzione delle emissioni di Co2, il risparmio idrico, la riduzione dei fitofarmaci e dei prodotti chimici sono buone pratiche che l’azienda ha implementato e sono l’essenza di comportamenti pratici. Il contributo che io vorrei portare a questo incontro, non si ferma all’elenco delle buona pratiche che rappresentano già un processo in essere per Vitevis. Io vorrei fornire una visione filosofica di impostazione nel momento in cui guardiamo ad una impresa enologica inserita nel proprio territorio”.

In questa direzione è interessante approfondire i tre aspetti fondamentali che, secondo Petrini, sono parte integrante della sostenibilità nel settore vitivinicolo e che riguardano il “governo del limite”, il mantenimento della biodiversità ed il rispetto delle popolazioni e dei territori in cui ha sede l’impresa vitivinicola.

“Il primo elemento che una impresa che opera nella produzione enologica deve sapere implementare è il “governo del limite”, noi siamo cresciuti in una dimensione in cui una buona risposta dal punto di vista commerciale era sinonimo di crescita, non è più così. La crescita infinita è un concetto che dobbiamo governare, una buona realtà produttiva deve saper governare il limite, fino ad un certo limite la produzione si sviluppa in armonia con l’ambiente ed il territorio, oltre un certo limite le problematiche aumentano in maniera esponenziale. Il secondo elemento è il mantenimento ed il rafforzamento della biodiversità. Noi abbiamo situazioni di sviluppo in campo enologico che sono particolari: se un vitigno ha successo e determina una produzione in crescita, prende spazio ad altri vitigni storici. Nelle Langhe piemontesi il successo del Barolo e del Barbaresco ha portato ad una diminuzione del Dolcetto, della Barbera. Anche nella zona del Prosecco è accaduta la stessa cosa. Penso ai paesaggi delle mie Langhe dove la vite conviveva con i cereali, con zone boscate, oggi vedo solo vigneti, questa è una perdita di biodiversità che nel lungo periodo il territorio pagherà e lo pagherà anche la produzione. Questa biodiversità porta protezione anche ai vigneti, non si tratta di scelte etiche ma strategiche sul lungo periodo. Il terzo aspetto riguarda il fatto che un produttore enologico deve avere molto rispetto per il territorio e le popolazioni che lo abitano. Nei borghi dove si sviluppa la viticoltura non esistono solo cittadini dediti alla viticoltura, ci sono altre comunità. Se la viticoltura copre tutti gli spazi, se il turismo del vino diventa invasivo avremo una sofferenza da parte di chi non opera nel settore. Molti borghi stanno perdendo socialità, con lo sviluppo della GDO abbiamo perso i negozi di vicinato, abbiamo perso le osterie che erano garanzia di socialità, praticamente stanno diventando dei borghi dormitorio.
La produzione enologica deve avere un impatto produttivo e turistico non invasivo, un buon turismo del vino pensa innanzitutto alla felicità delle persone che vivono quel territorio. Più una azienda avrà cura di questi tre aspetti, più avrà successo sul lungo periodo.

In chiusura Petrini ha voluto ampliare l’orizzonte al di là del settore vitivinicolo, mettendo in luce che la sostenibilità non è un monolite dogmatico ma esige capacità di adattamento e comportamenti diversi da una area ad un’altra. Un esempio emblematico è la riduzione del consumo di carne. In Italia la media è di 95kg di carne pro-capite all’anno, mezzo secolo fa il consumo di carne pro-capite era di 40kg/anno. Gli USA sono a 130kg pro-capite l’anno, ciò significa che se tutto il mondo avesse questi standard non basterebbero 3 pianeti per soddisfare la domanda. Nell’africa sub-sahariana il consumo è di 5kg pro-capite l’anno. Ciò significa che ci troviamo di fronte a delle disparità assolute e non si può pretendere che tutti i Paesi implementino le stesse misure e concretizzino le medesime scelte.

“Noi siamo responsabili di due grandi ingiustizie” ha chiosato Petrini, “una è intergenerazionale, cioè il mondo che erediteranno i nostri giovani non sarà quello che abbiamo ereditato noi. L’altra ingiustizia è quella verso la parte del mondo più povera che non è responsabile della situazione attuale, dato che il mondo sviluppato è responsabile per l’80% dell’impatto climatico sulla Terra”.