È ancora prematuro riuscire a fare un bilancio completo dell’epidemia del Coronavirus, ci mancano tante, troppe informazioni.
E già in questa premessa risiede una fragilità inaspettata in un’epoca che credevamo fosse in grado di confrontarsi efficacemente con gran parte delle patologie e dove le informazioni fossero in grado di circolare con maggiore velocità e trasparenza.
La realtà, invece, ci ha restituito un mondo molto più debole sul fronte sanitario ma anche molto più chiuso di quanto potessimo aspettarci.
Appare infatti paradossale che a distanza ormai di qualche mese dalle prime informazioni sullo sviluppo del Coronavirus in Cina non siamo ancora in grado di comprendere completamente la gravità di questo virus.
Sono state così tante e contraddittorie le informazioni che abbiamo ricevuto, anche da fonti ufficiali (a partire dall’Organizzazione mondiale della sanità), che risulta veramente complicato riuscire ad avere un quadro chiaro di una vicenda che ricorderemo per molto tempo, in tutti i sensi.
Lungi da noi il volerci aggiungere all’elenco dei virologi dell’ultima ora, ma è indubbio che gli scontri anche all’interno del mondo scientifico la raccontano lunga della crisi culturale e di civiltà che sta vivendo questa nostra epoca.
Come pure non può essere passata inosservata la difficoltà di avere informazioni precise di quanto è avvenuto e sta avvenendo in Cina. Ma se fino a qualche giorno fa potevamo ascrivere questa difficoltà di comunicazione alle storiche “barriere informative” utilizzate dal più grande Paese asiatico, anche la nostra aperta democrazia sembra avere problematiche simili.
L’informazione sul Coronavirus, infatti, sia qui che ad oriente, sembra muoversi solo su due direttrici: confusione e catastrofismo.
In un colpo solo, infatti, grazie ad un piccolo virus bastardo, è riuscita a mettere all’angolo la più potente economia mondiale, quella che è cresciuta di più in quest’ultimo ventennio, e a mettere sotto scacco il più debole dei Paesi europei, almeno tra quelli considerati (non sempre a ragione) i più evoluti, il nostro.
Qualche commento in più, invece, merita la modalità con cui gran parte di media generalisti italiani stanno affrontando questa problematica. Dispiace ammetterlo, ma non pensiamo di esagerare se diciamo che stiamo assistendo ad uno degli esempi più eclatanti di cattivo giornalismo che ci sia mai capitato di osservare.
E questo non solo da parte dei cosiddetti media “scandalistici” ma anche delle testate più autorevoli.
Se c’era un momento straordinario per dimostrare l’utilità dell’attività giornalistica dobbiamo riconoscere con amarezza che è stato veramente mancato.
Infine, una riflessione riguardo a quanto questo maledetto virus stia condizionando fortemente anche il nostro settore vitivinicolo.
Inutile fare gli ingenui, non sarà facile trovare date ideali per recuperare quanto si sta perdendo in queste settimane. Il business si muove su logiche molto razionali e non tollera ogni forma di incertezza.
E allora cosa fare? Stare lontani nel miglior modo possibile dalle paure. Non abbiamo certezze su cosa abbia provocato il Coronavirus ma siamo invece sicuri che vi sia una precisa strategia sul coltivare e diffondere la paura.
L’abbiamo scritto altre volte ma ora ne siamo ancor più convinti, la paura potrebbe rappresentare il vero pericolo anche per il vino italiano, per lo sviluppo delle nostre imprese.
Non sarà certo il Coronavirus e nemmeno Trump a condizionare la competitività delle nostre aziende del vino, ma sicuramente la paura potrebbe diventare il peggior nemico anche del vino italiano.