Marco Giuri opera da 22 anni nel settore del diritto vitivinicolo, con competenze specialistiche che spaziano dalla contrattualistica alla normativa di settore, dalla consulenza in tema di marchi ed etichette a servizi di recupero crediti per il mondo del vino e alla formazione. E’ spesso ospite dei nostri eventi formativi e rappresenta per noi un valido punto di riferimento per scambiare commenti, analisi e prospettive. Gli abbiamo chiesto, alla luce della sua conoscenza del settore, di condividere con noi alcune riflessioni.

Il vino è sempre più un acceleratore di sviluppo per il territorio. Stiamo assistendo, da parte della Francia, ad una importante iniziativa di comunicazione e di promozione, rappresentata dalla costruzione di una nuova “città del vino” in Borgogna: noi cosa possiamo fare in questo momento per investire nel vino e valorizzare il territorio italiano anche dal punto di vista turistico?

Quello attuale potrebbe essere il momento migliore per investire in questa direzione, con la recente re-istituzione di un Ministero del Turismo, che è l’interlocutore più adatto per recepire le istanze della filiera per uno sviluppo territoriale e turistico. Le statistiche parlano chiaro: l’Italia attrae visitatori anche e soprattutto per il suo patrimonio enogastronomico, per il concetto di ben vivere che si lega storicamente alla nostra terra. E’ il momento, ora più che mai per la filiera del vino, di bussare alla porta delle istituzioni e chiedere il finanziamento di iniziative di promozione e comunicazione che consentano di redistribuire risorse laddove sono più necessarie. C’è bisogno di comunicare all’estero che il turismo italiano non è soltanto turismo di mare o di montagna, che non esistono soltanto le città d’arte ma che esistono territori, anche poco conosciuti, custodi di tradizione e bellezza enogastronomica; ed è necessario farlo con i giusti strumenti, dalle riviste del ben vivere ai portali del turismo, dagli eventi di settore alle trasmissioni televisive.

Alcune zone di Italia vantano vini di elevata qualità ma continuano a soffrire di scarsa visibilità, anche da punto di vista del turismo. Prescindendo dalla attuale contingenza, quali iniziative ritiene che possano essere messe in pista, e da parte di quali soggetti, per valorizzare l’Italia vitivinicola meno conosciuta?

Sul fronte della qualità e del rispetto delle norme di produzione il comparto vitivinicolo italiano è presidiato dal sistema delle Denominazioni e delle Indicazioni Geografiche, che svolgono una funzione insostituibile nel mercato. Ritengo tuttavia che a livello territoriale ci sia spazio per studiare forme di cooperazione tra Enti territoriali, Consorzi di Tutela, Città del Vino, Reti di imprese volte ad investire nel turismo e nell’hospitality, permettendo anche ad aree meno note di farsi conoscere, anche al di fuori dei confini nazionali. Occorre catalizzare risorse finanziarie per raccontare anche i territori meno conosciuti. Le risorse finanziarie attese dal Recovery Plan potrebbero consentire, proprio qui ed ora, di investire in questa direzione.

Come giudica le tendenze oltre confine che, nel nome della corretta informazione del consumatore, rischiano di porre il consumo di vino in cattiva luce? Ci riferiamo alle attestazioni che il consumo di vino possa nuocere alla salute e all’ipotesi di inserire il c.d. Nutriscore in etichetta. Cosa possiamo fare per ricondurre il dibattito nella giusta direzione?

Ritengo che la tutela delle esigenze del consumatore non si ottenga inondandolo di informazioni, ma, al contrario, selezionando attentamente le informazioni da dare; ritengo che l’eccesso di informazioni possa rischiare di lasciare il consumatore disinformato.  E’ essenziale evidenziare i rischi che possono derivare dall’abuso di vino, come di altre sostanze, ma credo che per alcuni tipi di informazioni debba lasciarsi molto spazio alla facoltatività per il produttore. Vedo positivamente la possibilità di utilizzare QR Code per rinviare a dettagli informativi extra-etichetta, sull’apporto calorico e su altri dettagli nutrizionali, come pure una serie di altre informazioni di produzione, ma non credo alla efficacia di un obbligo in tal senso.

In Italia, peraltro, siamo sempre stati culturalmente attenti ai benefici della corretta alimentazione, anche ben prima che i nutrizionisti assumessero il ruolo che oggi hanno. Ed è corretto e doveroso esprimere la nostra convinzione che il consumo consapevole di vino abbia un ruolo importante all’interno della dieta mediterranea e del ben vivere ad essa legato.

Abbiamo parlato della importanza del corretto sostegno finanziario per il settore del vino. Il mercato del credito sta sviluppando strumenti finanziari che si adattano in modo funzionale ai cicli del vino. Mi riferisco ad esempio al pegno rotativo, cui molti Consorzi italiani stanno ricorrendo. E’ uno strumento che può essere di supporto anche alle singole imprese?

Il pegno rotativo è potenzialmente utile anche alle singole aziende, ma è chiaro che per poter essere appetibile per il sistema bancario deve muovere grandi numeri. Ritengo che anche su un tema come questo possano e debbano essere sfruttate le sinergie da aggregazione. Oltre ai Consorzi ritengo quindi che uno strumento come questo possa essere costruito ad esempio, per reti di imprese che totalizzino produzioni importanti e, per questo, possano meritare attenzione da parte delle banche.

Come sappiamo il tema della finanza è una variabile critica in questo momento ed è necessaria una certa dose di creatività per studiare meccanismi di finanziamento che siano disponibili per le imprese; non vogliamo immaginare che la tensione finanziaria di alcune aziende, anche in territori molto vocati, possa aprire le porte a dismissioni e a facili speculazione da parte di investitori stranieri. Rischieremmo di impoverire il nostro Paese e di perdere molto di quel tessuto di tradizione e familiarità di cui il mondo del vino è storicamente custode.