Torniamo per una seconda volta sul tema dei Master of Wine sia perché il nostro primo articolo ( link) ha stimolato numerosi commenti, per i quali ringraziamo i nostri lettori, sia perché sono parecchie le valutazioni che emergono dalla “semplice” analisi dell’esame finale di questo prestigioso percorso formativo.
A questo proposito ci ha sorpreso la presenza, che pensiamo sia un record, di ben sette vini italiani all’interno dei tre blind tasting ai quali vengono sottoposti i candidati.
Una presenza così ampia fa scaturire due valutazioni: una più maliziosa ed una forse più obiettiva. Partiamo da quella più maliziosa. I responsabili inglesi della nota associazione dei Master of Wine hanno voluto inserire più vini italiani per “mettersi al riparo” da eventuali contestazioni dei candidati del nostro Paese? Della serie:”questa volta non ci saranno scuse per gli italiani che fino ad oggi non sono mai riusciti a superare questo esame e diventare master of wine”.
La seconda, quella probabilmente più obiettiva, è legata al fatto che oggi finalmente nel quartier generale di Londra i responsabili della prestigiosa associazione hanno capito di dare il giusto spazio ed evidenziazione allo straordinario patrimonio vitienologico italiano.
E l’hanno fatto non limitandosi alle “solite” note denominazioni italiane ma inserendo alcuni “outsider” che non era così semplice prevedere di trovare in questo difficilissimo blind tasting (sarà stato per complicare ulteriormente la prova ai nostri bravi connazionali?).
Di seguito riportiamo i sette vini italiani scelti:
Lagrein, Castel Turmhof, Tiefenbrunner 2014. (Alto Adige)
Montepulciano d’Abruzzo, La Piuma 2015. (Abruzzo)
Chianti Classico Riserva, ‘Rancia’, Felsina Berardenga 2012. (Toscana)
Barolo, Pio Cesare. 2012. (Piemonte)
Etna Rosso, Archineri, Pietradolce 2014. (Sicilia)
Soave Classico, Inama 2016. (Veneto)
Roero Arneis, Cornarea 2016. (Piemonte).
Come si può osservare, vi sono vini come, in particolare, il Lagrein e l’Arneis che difficilmente avremmo immaginato di trovare in tale elenco. Una scelta che però, vista sempre in modo positivo, potrebbe testimoniare la consapevolezza che l’Italia del vino è caratterizzata da una biodiversità vitienologica unica.
Più scontata la presenza dell’Etna Rosso visto il successo straordinario che sta riscontrando in questi anni questa tipologia di vino e, soprattutto, questo territorio unico.
E’ interessante evidenziare, inoltre, alcune domande inerenti queste tre degustazioni alla cieca per far capire da un lato la difficoltà del test ma dall’altro anche capire gli obiettivi dei Master of Wine:
– identifica l’origine, la più vicina possibile, con evidenziazione della/e varietà utilizzate;
– evidenzia le tecniche enologiche che sono state utilizzate per acquisire i diversi stili;
– evidenzia le potenzialità commerciali dei vini degustati;
– i vini 6 e 7 sono italiani e sono realizzati con varietà diverse: per ogni vino indica l’origine con le varietà utilizzate e le relative caratteristiche; evidenzia gli stili e la qualità dei vini; in quale canale distributivo andrebbero destinati questi vini per avere maggiori opportunità di successo?
Anche da tali domande si può facilmente capire come il ruolo dei master of wine potrebbe esplicarsi su due fronti fondamentali per la filiera vitivinicola: quello della definizione di un linguaggio capace di costruire una comunicazione del vino più vicina al mercato e ai consumatori, che risponda a reali caratteristiche riconoscibili nei diversi vini e denominazioni; e quello del mercato, cioè della capacità di interpretare e di influenzare in maniera concreta il trade e i consumatori.
Su quest’ultimo fronte alcuni esempi concreti, a nostro parere, sono già evidenti, come i recenti successi sui mercati di tutto il mondo dei Sauvignon Blanc neozelandesi e dei Malbec argentini e cileni. Provate andare ad indagare la genesi di questi successi e vi accorgerete come la “lobby” esercitata da alcuni master of wine (alcuni impegnati sul versante enologico altri su quello distributivo) ha fatto un eccellente lavoro.