La crescita del consumo di vino rosè sui mercati mondiali nell’arco degli ultimi 10-12 anni rappresenta uno dei fenomeni comportamentali più interessanti del mercato del vino.
Questo trend, certamente supportato dalla fotogenicità del calice in rosa, è chiaramente apprezzabile sui social, nelle cui vetrine spopola la bellezza e la seduzione, in una parola l’appeal, che il rosè è in grado di sprigionare, con la sua capacità di richiamare e rilanciare astrazioni di eleganza, delicatezza, piacevolezza, freschezza, che fanno leva direttamente sulla sfera edonistica dei wine drinkers.
Ma l’ascesa del vino rosato non è soltanto legata alla sua capacità di incardinare, a diverse tonalità, i colori dell’aurora e di sposarsi bene con tenui paesaggi mediterranei. A differenza dei fenomeni di mera tendenza, la dinamica di segno positivo che il consumo di vino rosa sta marcando in tutto il mondo, è continua e in crescita. E alla sua base vi sono elementi tutt’altro che effimeri.
Nella cornice digitale del Wine2Wine 2020 ci aiutano a leggere e decodificare questo trend, con il coordinamento di Giulio Somma, Direttore del Corriere Vinicolo, le analisi di mercato di Pierpaolo Penco di Wine Intelligence e di Carlo Flamini, dell’Osservatorio del vino di UIV, accompagnate dalle riflessioni di Franco Cristoforetti, Presidente di Rosautoctono e di Mattia Vezzola, Vicepresidente del Consorzio Valtenesi.
In una storia recente in cui, inizialmente, del vino a tinte rosa non erano chiare nel mercato neanche le tecniche produttive, si è passati in pochi anni ad un prodotto che sta trovando la propria vocazione in aree territoriali definite e il proprio DNA in vitigni specifici.
La prima alfabetizzazione del mercato è stata certamente dovuta alla Provenza, che ha svolto, a partire dai primi anni duemila, un ruolo di traino dell’intero pianeta rosa. Da quei blocchi di partenza l’avanzata del rosè è stata continua e sorprendente: l’arco di tempo della ricerca presentata evidenzia che, nell’arco di circa un decennio, i consumatori di rosè crescono dal 17% al 36% dell’Australia, oppure dal 30% al 50% del Regno Unito. Isolando poi i soli consumatori premium, si è passati dal 37% al 52% del Regno Unito e dal 38% al 44% degli Stati Uniti. A riprova del fatto che, tra i drinkers in rosa, emerge una quota che è disposta a spendere molto per questa tipologia di vino.
La spinta verso il vino rosato si ritrova in tutte le fasce di età ed entrambi i generi, anche se si conferma che le giovani millennials svolgono un ruolo importante nella espansione dei consumi. A titolo di esempio, in UK il 62% dei regular wine drinkers nella fascia 18-34 anni ha provato, negli ultimi 12 mesi, un vino rosato; nello stesso Paese, il 58% delle donne ha bevuto rosa nello stesso arco temporale; tendenze simili si apprezzano analizzando i dati dell’Australia e degli Stati Uniti. E incrociando i dati di genere con le fasce di età, se ne ricava l’idealtipo statistico del rosè ambassador: donna e molto giovane.
Ma non è solo l’appeal visivo a trainare i consumi di rosè nel mondo. Interessanti conclusioni emergono infatti dall’analisi dei motivi che spingono la propensione all’acquisto: primeggia decisamente, con particolare riferimento al mercato americano, sud coreano, Singapore e Brasile, la versatilità del rosè nell’abbinamento con il cibo. In altri singoli mercati il rosè si fa strada grazie ad altre leve, quali la capacità descrittiva del produttore in etichetta, la varietà del vitigno, la forza del brand, il suggerimento da parte di amici ed altro.
La notorietà territoriale, misurata in base alla provenienza del rosè consumato negli ultimi 6 mesi, premia Francia, Italia e California, con stacco del 12% della prima rispetto al nostro Paese. L’Italia gode di un ottimo piazzamento negli Stati Uniti ed in Germania, dove si colloca al secondo posto dopo i vini locali, mentre nel Regno Unito predomina il rosato francese e quello italiano cede qualche posizione.
Indicazioni ancora più interessanti emergono dall’analisi dei consumi per singola regione vinicola, che vede ai primi posti Bordeaux per il consumatore tedesco e canadese, Napa Valley per i drinker americani; spicca invece, nel Regno Unito, un dato per noi rilevante: il 34% di chi ha bevuto rosè negli ultimi 12 mesi ha attinto alle colline del Prosecco. E il recente ingresso del Prosecco Rosè nella denominazione che, in termini di produzione, ha fatto impennare le quantità, immaginiamo sia destinato a dare quindi un ulteriore significativo contributo all’export italiano di rosè.
Un’interessante analogia si riscontra poi tra gli amanti del vino italiano e i fedeli del rosè: chi beve italiano nel mondo, al pari di chi ama il rosato, consuma vino più volte la settimana, è mediamente competente ed ha un elevato coinvolgimento in fatto di acquisto; dati che non consentono di trarre conclusioni univoche, ma che, a sensazione, parlano positivamente del vino italiano.
Quali scenari apre per l’Italia il trend del consumo mondiale di vino rosato?
Sembra di poter concludere che l’Italia possa beneficiare della spinta del rosè indirizzando la propria offerta ai drinkers più giovani, con un occhio particolare alle giovani millennials; scelta che potrebbe rivelarsi utile, oltre ad incrementare la presenza di rosato italiano nel mondo, anche a ridurre l’età media dei drinkers di vino italiano, con un indubbio contributo in termini di modernizzazione dell’immagine del vino italiano.
Senza per questo abdicare alla propria storia, al proprio patrimonio ampelografico, alla vocazione dei propri territori; anzi, sarà a nostro parere proprio una comunicazione studiata per il mercato giovane, mirata a valorizzare la “regionalizzazione” delle nostre zone più vocate, a poter spingere ancora più in alto la percezione del rosè italiano.