Abbiamo parlato molte volte del fenomeno della digitalizzazione e ancora non ci stanchiamo di parlarne. Il motivo? Perché abbiamo la convinzione che questo fenomeno non sia un trend passeggero, ma un cambiamento epocale che ha già interessato molti altri comparti e che ora sta raggiungendo il mondo del vino. E anche perché è questo il momento di attuare il cambiamento, prima che sia troppo tardi.
La nostra riflessione parte dall’infografica proposta, tratta da un articolo illuminante pubblicato da McKinsey&Company qualche tempo fa, che mostra chiaramente la parabola della digitalizzazione in un mercato specifico: dall’emergere del nuovo trend dominante le aziende hanno a disposizione un certo lasso di tempo prima che tale trend diventi la normalità e venga adottato della maggioranza dei consumatori (mainstream customers). Questo momento viene definito tipping point (punto critico), poiché da qui in avanti le aziende che saranno state in grado di abbracciare il cambiamento potranno continuare a prosperare nel mercato, mentre le aziende ritardatarie saranno destinate ad una parabola discendente.
Adottare una strategia digital, sia in fase di comunicazione che in fase di vendita, è diventato e diventerà sempre più fondamentale. Le vendite online sono cresciute del 17% annuo dal 2007 e non accennano a fermarsi, anzi tutt’altro. Ormai tutti i settori si stanno adeguando, non solo per necessità, ma perché si è capito che le opportunità offerte dalla digitalizzazione sono immense.
Il mercato è sempre meno orientato al prodotto e sempre più orientato al cliente; in questo senso le nuove tecnologie servono un perfetto assist per conoscerlo come mai prima d’ora: sapere cosa vuole, come lo vuole e quali sono le sue abitudini d’acquisto. Si possono fidelizzare coloro che sono già clienti, magari proponendo sistemi integrati online e offline, come i Click&Collect, dove il consumatore può fare il suo acquisto online e andare comunque a ritirarlo nel punto vendita, ma soprattutto si possono intercettare i bisogni dei clienti potenziali. Ed è proprio qui che si trova la vera miniera d’oro del vino.
Come mostrato da Amy Gross, fondatrice di Wine4.me e VineSleuth anche allo scorso Wine2wine, solo negli Stati Uniti ci sono 250.000 enofili (consumano vino in media 4 volte a settimana e spendono circa €50 a bottiglia), 1.7 milioni di aspiranti enofili (consumano vino in media 2 volte a settimana e spendono circa €25 a bottiglia) e ben 62 milioni di bevitori di vino occasionali (consumano vino in media 1 volta a settimana e spendono circa €5 a bottiglia). Investire nella prima categoria, mantenendo lo stesso consumo settimanale ma portando il prezzo medio da €50 a €70, comporterebbe un aumento del fatturato di 260 milioni di euro. Investire nella seconda categoria, aumentando il consumo a 2.5 volte a settimana con una spesa di €35 la bottiglia, porterebbe un aumento di 1.1 miliardi di euro. Investire nella terza categoria, aumentando il consumo a 1.5 volte a settimana con una spesa di €7, darebbe come risultato un aumento generale del fatturato di 9.7 miliardi di euro.
Il vino è un prodotto che viene ancora in parte concepito come elitario e difficile “da capire”, ma è anche estremamente versatile. Se guidato correttamente verso la sua scoperta, chiunque potrebbe trovare il vino che meglio incontri i propri gusti. Anche per questo la tecnologia ci aiuta. Ci sono società informatiche, come l’americana Vivanda, che hanno l’obiettivo di digitalizzare l’esperienza enogastronomica. Tramite complessi algoritmi, questi software riescono ad incrociare profumi, gusti e consistenze in modo da intuire le preferenze dei clienti e proporre loro nuovi cibi e bevande. I risvolti di tale lavoro potrebbero essere infinitamente preziosi per il settore del vino, dove l’importanza di guidare ed educare il consumatore finale al prodotto è alla base della crescita del mercato.
Come scritto in un articolo apparso sull’edizione online di Forbes Magazine da Eric Annino, Global Corporate Affairs di SAP (multinazionale europea per la produzione di software, che lo scorso anno ha investito proprio su Vivanda per implementare la tecnologia proposta da questa start up americana, ndr.): “La digitalizzazione del gusto potrebbe forse permettere all’industria del vino di mutare quella sua immagine un po’ pretenziosa e al contempo far sì che la sua base di consumatori meno informati acquisti meglio e in modo più consapevole”.
È normale che in un settore storicamente legato al prodotto e alla tradizione, come quello del vino in Italia, l’avvento del digitale possa far storcere il naso e creare più di qualche perplessità. Ma forse in questo caso c’è più da guadagnarci che da perderci.