Un territorio unico al mondo, la Valpolicella, che come tanti altri del Belpaese ha saputo custodire nel corso dei secoli tradizioni e saperi legati alla produzione vitivinicola e non solo. In questo territorio, che comprende la città e la provincia di Verona, nel corso della storia le tradizioni, gli usi ed i costumi si sono mescolate con l’identità delle popolazioni locali così indissolubilmente da essere trasmessi per generazioni. Tra queste tradizioni c’è la tecnica di messa a riposo delle uve della Valpolicella, citata già nel 580 d.C. da Cassiodoro, consigliere del re ostrogoto Teodorico, che descrive in una lettera al re la tecnica di appassimento della Valpolicella, spiegandone le ritualità e le connessioni con la comunità.
“Da molti anni, le donne e gli uomini della Valpolicella hanno avviato un articolato processo di studio, analisi e documentazione della tecnica di appassimento dell’uva della Valpolicella che ci ha portato alla decisione condivisa di proporne la candidatura quale patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO” spiega Cristian Marchesini, presidente del Comitato Promotore della candidatura a patrimonio culturale immateriale de “La tecnica di messa a riposo dell’uva della Valpolicella” in rappresentanza delle comunità della Confraternita Snodar, del Palio del Recioto, dell’Università di Verona, della Fondazione Valpolicella, delle Strade del Vino e della Vite della Valpolicella, del Consorzio per la Tutela dei Vini della Valpolicella.
“La tecnica della messa a riposo delle uve, lungi dall’essere solo uno strumento indispensabile per la produzione di un vino di qualità, rappresenta, da oltre 1500 anni, la comunità della Valpolicella tanto che vi è una totale identificazione tra tale tecnica e il territorio” racconta Marchesini.
Cosa significa patrimonio culturale immateriale dell’Unesco?
L’Unesco, a partire dal 2003, definisce patrimonio culturale immateriale quelle pratiche, quei saper fare, quei rituali, quelle conoscenze e quelle tecniche che, tramandandosi di generazione in generazione, creano un forte senso identitario per una specifica comunità. I patrimoni culturali immateriali sono i nostri bagagli culturali, ciò che ci lega ad un certo territorio e che ci fa sentire parte di una comunità. E’ ciò che ci identifica e identifica il nostro futuro.
Come si arriva ad ottenere il riconoscimento?
Il processo di candidatura nelle Liste dell’UNESCO è un percorso lungo e complesso, dall’esito incerto. Esistono due momenti nel processo di candidatura: uno nazionale e uno internazionale. Sul fronte nazionale, una volta che il dossier è pronto, dopo almeno 4-5 anni di raccolta da parte della comunità, viene trasmesso al ministero competente per materia (il ministero della cultura o il ministero dell’agricoltura) che deve dare un parere positivo. Solo così il dossier può essere trasmesso alla Commissione nazionale italiana per l’UNESCO: se arriva il via libera anche di questa commissione, il dossier viene inviato a Parigi. A Parigi inizia un doppio negoziato, tecnico e politico. Dapprima il dossier è valutato da un organo di esperti mondiali composto da sei personalità di fama mondiale (l’attuale presidente è l’italiano Pier Luigi Petrillo) provenienti da 5 diversi continenti, poi viene sottoposto al vaglio di un organo politico composto dai rappresentanti di 180 Paesi. Solo con il doppio ok favorevole di entrambi gli organi è possibile ottenere il riconoscimento. Delle candidature solo una piccola parte, ad esito della valutazione, potrà essere dichiarata patrimonio dell’umanità.