Per prima cosa sono arrivati i vini biologici, poi abbiamo iniziato a sentir parlare dei vini biodinamici ed infine sono arrivati i vini naturali. Questa categoria di vini, emersa circa una decina di anni fa alle cronache della ribalta, non è ancora riuscita a far comprendere appieno la natura della sua “naturalità” (perdonate il gioco di parole). Ci spieghiamo meglio: se oggi è più semplice e normativamente definito capire cosa qualifica i vini biologici e biodinamici, non è altrettanto facile afferrare il senso di quel “naturale”.

Perché è più difficile capire quali sono i vini naturali? In primo luogo, è una questione prettamente formale e tecnica: mentre per i vini biologici e biodinamici esistono delle certificazioni attribuite da enti come Demeter, Ecocert, Biodyvin (e altri), per i vini naturali non vi è alcuna certificazione ufficiale. Certo esistono realtà come la francese AVN – Association of Natural Wines o VinNatur, che hanno redatto dei documenti di intenti e procedure di regolamentazione delle pratiche degli associati, ma non è ancora la stessa cosa, purtroppo.

Nell’ultimo mezzo secolo, inoltre, i consumatori e i wine lovers si sono lasciati condurre dall’idea che consumare questi prodotti naturali significhi mangiare e bere bene. Etichette che recano le diciture “senza conservanti” o “senza agenti coloranti” si pensa siano stati determinanti nell’indirizzare l’attenzione del consumatore verso prodotti sempre più naturali.
Qual è la differenza, però tra i vini naturali e tutti gli altri prodotti alimentari naturali pre-confezionati? Nei prodotti confezionati naturali tutti gli ingredienti sono presenti in etichetta e sono indicati in modo dettagliato, invece l’etichetta di una bottiglia di vino (o di birra, sidro etc.) è molto più lacunosa. Sappiamo il quantitativo di alcol e che il vino contiene solfiti (anche se non si conosce la quantità esatta) ma tutto il resto passo sotto silenzio. Che tipo di tannini, enzimi, acidificanti, bentonite aggiunge il produttore?

Questo forse sta inducendo ancora di più i consumatori a richiedere un ritorno a ciò che è naturale e alla trasparenza nell’indicare cosa c’è nella bottiglia: cosa introducono nel loro corpo.
Dunque ecco perché è nata la filosofia naturale, dall’idea di vini senza aggiunte che non siano naturali.
Tra le indicazioni del disciplinare dalla AVN l’obiettivo del vignaiolo naturale è produrre vino usando una vinificazione naturale: senza aggiunte; le vigne sono coltivate rispettando l’agricoltura biologica o biodinamica; la vendemmia viene svolta rigorosamente a mano; solo lieviti indigeni vengono inseriti nel processo di vinificazione, dove non intervengono tecniche troppo invasive per l’uva e non si utilizzano solfiti aggiunti o altri tipo di additivi non naturali.

Oggi, questo modo alternativo al convenzionale di produzione di vino, originariamente terreno di conquista di pochi pionieri, può essere molto utile alla salute e molto profittevole per i produttori.
Facendo un confronto tra due vini di buona qualità chi non preferirebbe quello con il quantitativo più bassi di additivi, le cui uve sono state coltivate senza pesticidi o altri prodotti sintetici e il cui quantitativo di solfiti è minimo? Oggi un pò tutti i produttori si stanno allineando al ribasso abbracciando una filosofia più naturale possibile, riducendo l’uso della chimica in campagna e gli additivi in cantina. Quindi non possiamo che riconoscere che il trend si stia assorbendo sempre di più nella pratica quotidiana. 

Ora rimane solo una domanda: prevarranno i vini naturali alla fine o la moda passerà quando tutti i vini convenzionali si saranno avvicinati al confine, senza però mai oltrepassarlo? 

fonte: iDealwine