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Sarebbe interessante capire questo grande interesse dei partiti italiani nei confronti di un settore come quello vitivinicolo. Ci viene il dubbio che oggi il comparto del vino è tra i pochi dove la politica italiana riesce a respirare aria di ottimismo e un tasso di “antipolitica” ancora decisamente basso.
Facciamo questo mestiere da tanti, forse troppi, anni e abbiamo visto succedersi ministri, rappresentanti di governo e delle istituzioni di tutti i partiti e colori e mai abbiamo assistito a polemiche o contestazioni. 
Il vino italiano rappresenta un “porto sicuro” per il mondo politico del nostro paese e non siamo così certi che questo rappresenti sempre un grande vantaggio per il nostro amato settore.
Ma cosa è emerso da questa prima giornata di Vinitaly? Innanzitutto un grande rinnovato ottimismo che ci ha riportati, almeno come umore, ai metà degli anni 2000 quando il vino italiano, e l’economia in generale, veleggiava con il vento in poppa.
Sempre difficile, in assenza di dati approfonditi e non dei soliti numeri macroeconomici, capire quanto le imprese del vino italiane stiano realmente godendo di un periodo favorevole.
Sarebbe interessante chiederlo alle 4.380 aziende presenti a Vinitaly (gran parte italiane) ma non siamo certi avremmo risposte sincere.
Dal nostro osservatorio vediamo la classica situazione a macchia di leopardo, con imprese in crescita, non moltissime, parecchie sostanzialmente stabili e un numero non indifferente in una stato di pericoloso stallo se non di evidente decrescita.
Di questo in qualche misura si è parlato anche durante il talk show inaugurale durante il quale, con il pretesto di parlare di un mercato strategico come quello statunitense, è emerso giustamente il problema di come le imprese del vino italiano riescono a presidiare i mercati internazionali.
Questa rimane una problematica centrale per il nostro comparto che fatica a creare modelli di presidio sui mercati internazionali adeguati e da ciò la difficoltà di intercettare le potenzialità di molti di essi.
Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor Nomisma ha evidenziato, attraverso una ricerca commissionata da VeronaFiere Vinitaly, come gli Usa hanno ancora ampi margini di crescita ma soprattutto in quegli Stati oggi ancora poco raggiunti da molte imprese del vino italiane.
“Nel Minnesota, ad esempio” ha spiegato Pantini ” negli ultimi anni si è registrata una crescita delle importazioni di ben il 277%. Ma in quasi tutto il Mid West vi sono ancora ampie praterie da conquistare. Nonostante queste notevoli potenzialità, però, tuttoggi i due terzi delle importazioni negli Usa sono concentrate in soli 5 Stati”.
Una vecchia storia questa che testimonia però una cronica difficoltà delle nostre imprese di andare ad intercettare le opportunità di stati meno affollati.
A questo riguardo nella serata pre inizio Vinitaly eravamo ospiti di un’azienda che aveva invitato dieci distributori statunitensi rappresentanti di Stati meno noti in termini di wine business (Alabama, Oregon, Connecticut, Minnesota, Missouri, Nevada, Wisconsin, ecc.). A tutti loro abbiamo chiesto quali sono i requisiti fondamentali per aprire il loro portofolio ad aziende italiane nuove sui loro mercati. Le risposte sono sintetizzabili in due aspetti: “Avere qualcosa di veramente unico, riconoscibile, peculiare e tanta pazienza. Cioè accettare la politica dei piccoli passi”.
Due caratteristiche non così scontate che richiedono tempo, quello che molte poche aziende italiane oggi hanno.
La risposta “istituzionale” durante l’inaugurazione di Vinitaly per supportare le aziende italiane sui mercati internazionali è una rinnovata disponibilità a fare sistema. Da questo spirito è nata la collaborazione, all’interno del Progetto Vini Usa, da l’Agenzia Ice, il Ministero dello sviluppo economico, Federvini, Unione Italiana Vini, Federdoc e Vinitaly.
La notizia è sicuramente positiva anche se Maurizio Forte, responsabile dell’Ice di New York e coordinatore della rete Usa è stato chiaro:”Si tratta di un progetto all’insegna della “pubblicità” del vino italiano e non di supporto commerciale alle imprese italiane sul mercato statunitense. Quello pensiamo siano in grado e debbano farlo le imprese”.
Non siamo certi che siano tante le imprese italiane oggi in grado di avere una adeguata organizzazione commerciale sui mercati internazionali anche se concordiamo con Forte che è un compito loro e non delle istituzioni.
Le istituzioni, però, sono fondamentali per avviare attività di educazione sul vino italiano che soffre ancora di una conoscenza mediocre in gran parte del mondo, compresi gli Usa come sottolineato nella ricerca di Wine Monitor.
Come pure le aziende italiane debbono accettare la sfida di mettersi in rete, se lo stanno capendo (almeno così appare) le istituzioni forse è tempo se ne rendano conto anche i nostri bravi produttori.