Facciamo questo mestiere da tanti, forse troppi, anni e abbiamo visto succedersi ministri, rappresentanti di governo e delle istituzioni di tutti i partiti e colori e mai abbiamo assistito a polemiche o contestazioni.
Ma cosa è emerso da questa prima giornata di Vinitaly? Innanzitutto un grande rinnovato ottimismo che ci ha riportati, almeno come umore, ai metà degli anni 2000 quando il vino italiano, e l’economia in generale, veleggiava con il vento in poppa.
Sempre difficile, in assenza di dati approfonditi e non dei soliti numeri macroeconomici, capire quanto le imprese del vino italiane stiano realmente godendo di un periodo favorevole.
Sarebbe interessante chiederlo alle 4.380 aziende presenti a Vinitaly (gran parte italiane) ma non siamo certi avremmo risposte sincere.
Di questo in qualche misura si è parlato anche durante il talk show inaugurale durante il quale, con il pretesto di parlare di un mercato strategico come quello statunitense, è emerso giustamente il problema di come le imprese del vino italiano riescono a presidiare i mercati internazionali.
Questa rimane una problematica centrale per il nostro comparto che fatica a creare modelli di presidio sui mercati internazionali adeguati e da ciò la difficoltà di intercettare le potenzialità di molti di essi.
“Nel Minnesota, ad esempio” ha spiegato Pantini ” negli ultimi anni si è registrata una crescita delle importazioni di ben il 277%. Ma in quasi tutto il Mid West vi sono ancora ampie praterie da conquistare. Nonostante queste notevoli potenzialità, però, tuttoggi i due terzi delle importazioni negli Usa sono concentrate in soli 5 Stati”.
A questo riguardo nella serata pre inizio Vinitaly eravamo ospiti di un’azienda che aveva invitato dieci distributori statunitensi rappresentanti di Stati meno noti in termini di wine business (Alabama, Oregon, Connecticut, Minnesota, Missouri, Nevada, Wisconsin, ecc.). A tutti loro abbiamo chiesto quali sono i requisiti fondamentali per aprire il loro portofolio ad aziende italiane nuove sui loro mercati. Le risposte sono sintetizzabili in due aspetti: “Avere qualcosa di veramente unico, riconoscibile, peculiare e tanta pazienza. Cioè accettare la politica dei piccoli passi”.
Due caratteristiche non così scontate che richiedono tempo, quello che molte poche aziende italiane oggi hanno.
La notizia è sicuramente positiva anche se Maurizio Forte, responsabile dell’Ice di New York e coordinatore della rete Usa è stato chiaro:”Si tratta di un progetto all’insegna della “pubblicità” del vino italiano e non di supporto commerciale alle imprese italiane sul mercato statunitense. Quello pensiamo siano in grado e debbano farlo le imprese”.
Come pure le aziende italiane debbono accettare la sfida di mettersi in rete, se lo stanno capendo (almeno così appare) le istituzioni forse è tempo se ne rendano conto anche i nostri bravi produttori.