Quale sarà il futuro del mercato del vino? Dipende quale punto di vista vogliamo utilizzare. Non potendoci, purtroppo, affidare ai dati reali delle aziende e alle loro visioni concrete sui mercati in cui sono presenti, siamo costretti ad utilizzare le numerose indagini e previsioni che fanno autorevoli osservatori a livello mondiale.
Recentemente ho preso spunto da due interessanti report: il Gérard Basset Global Fine Wine Report e il Fine Wine Market Asia Pacific di Liv-Ex.
Il primo report è relativo al periodo 2022 e include le previsioni per il 2023. Si basa su oltre 135.000 dati/informazioni frutto di oltre 35.000 risposte ricevute da 943 rappresentanti del mercato globale dei fine wines, tra cui 56 Master of Wine, 32 Master Sommelier, 72 Advanced Sommelier e 250 con qualifica DipWSET. A questi si aggiungono 302 sommelier professionisti, 257 fine wine merchants, 192 distributori, 104 giornalisti del vino, 72 educatori, 46 consulenti, 38 responsabili di case d’asta e 10 importatori. Scusate il lungo elenco ma è importante conoscere bene il profilo degli “intervistati” per comprendere meglio le caratteristiche dell’osservatorio utilizzato e quindi l’affidabilità dell’indagine.
La Fondazione Gérard Basset fornisce anche i nomi dei soggetti coinvolti (il report è scaricabile gratuitamente al sito liquidicons.com) e quindi diventa ancor più chiara la profilazione del panel d’analisi.
Premesso questo, dal report emerge un ottimismo straordinario da parte del 90% degli intervistati sulla realtà attuale e sul futuro del mercato dei fine wines. E, più precisamente, il 60% ne ha una visione “positiva”, il 30% “molto positiva”, mentre il 6% dichiara di non essere “né positivo né negativo” e solo il 4% vede un futuro “molto negativo”.
Considerando le problematiche geopolitiche attuali con le relative incertezze economiche, leggere un report che trasuda di così grande ottimismo fa un certo effetto ma fa anche piacere, data l’autorevolezza degli intervistati. A onor del vero, va anche sottolineato che si tratta del mercato dei fine wines, di fatto l’unica tipologia di vini che può vantarsi di avere brand realmente riconoscibili e quindi, almeno sul fronte dei volumi, parliamo di una quota decisamente minoritaria. Minoritaria ma molto importante per quanto riesce a dare all’immagine complessiva del vino.
Non voglio soffermarmi troppo sulle ragioni di questo ottimismo, bensì su un’osservazione emersa dal report che ritengo molto interessante.
Secondo gli intervistati, infatti, i fine wines stanno registrando un livello di interesse senza precedenti da parte della nuova generazione di produttori che utilizzano oggi nuove pratiche produttive, come vini pregiati artigianali, locali, da monovitigni meno noti, di regioni produttive emergenti (incluse quelle del nuovo mondo), realizzati da giovani vignaioli. Ma anche vini frutto di varietà autoctone capaci di dare vini più leggeri, freschi, a minor contenuto alcolico e di calorie, più fruttati, più acidi ed eleganti. In questa “nuova” tipologia di fine wines sono inclusi i vini biologici, naturali, biodinamici e anche gli orange wines, frutto di modelli produttivi “trasparenti”, sostenibili, con bassa impronta al carbonio, etici e che utilizzano packaging alternativi.
Questa “nuova categoria”, se così si può definire, è particolarmente apprezzata tra generazioni più giovani che stanno entrando nel segmento dei fine wines ad un ritmo più elevato rispetto al passato.
Nel recente passato avevamo già ascoltato affermazioni di questo genere ma, considerando l’autorevolezza del panel, si tratta di una conferma sulla quale riflettere. Soprattutto perché, di fatto, apre la strada ad un nuovo modo di intendere i fine wines che, almeno per le giovani generazioni, non sono più solo legati al brand di prestigio ma a quanto esso riesce a garantire, ad evocare in termini di sostenibilità in tutte le sue diverse forme.
A spegnere però gli entusiasmi emersi nel report della Gérard Basset Foundation, arriva l’analisi di Liv-Ex che, di fatto, è il più importante osservatorio dei mercati dei fine wines nel mondo. Dal loro report emerge in maniera chiara che l’Asia (in particolare la Cina) difficilmente può rappresentare uno straordinario mercato per lo sviluppo dei vini di pregio, almeno nel futuro più immediato.
In sostanza, dal report di Liv-Ex emerge che “… la Cina non correrà in soccorso del commercio mondiale di vino nella fase difficile che si sta prospettando”.
Tornerò presto su questa visione molto più preoccupata di Liv-Ex, nella quale onestamente mi riconosco maggiormente non per essere pessimista, ma semplicemente un raccoglitore di dati, informazioni della strada.
A partire da quell’ormai inesorabile rallentamento (e, nel caso del vino, di un vero e proprio arretramento) della Cina sulla quale, inutile negarlo, tutti gli addetti ai lavori avevano riposto molte aspettative.