Luca Formentini, titolare di Selva Capuzza – una delle più belle realtà vitivinicole del territorio gardesano (è collocata nel suggestivo entroterra di Desenzano del Garda), è il “Vignaiolo Verde 2022”, un prestigioso riconoscimento inserito per la prima volta dalla guida del Corriere della Sera “I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia”.

Già di per sé si tratta di una notizia importante perché oggi tutti gli strumenti che valorizzano i produttori impegnati sul fronte della “sostenibilità” devono essere visti con interesse.
La sostenibilità, infatti, in tutte le sue diverse accezioni, continua ad aumentare il suo peso nelle scelte dei consumatori a livello internazionale.

Oggi, infatti (secondo il “Meet the 2021 consumers driving change” di IBM), circa 6 consumatori su 10 si dichiarano disponibili a modificare i loro acquisti in relazione ad una diminuzione dell’impatto ambientale e, addirittura, 8 su 10 considerano la sostenibilità un fattore molto importante nelle loro scelte. Inoltre, tra coloro che considerano molto importante il fattore sostenibilità, il 70% circa è disponibile a pagare mediamente un 35% in più per un prodotto che dà garanzie certe in questa direzione.

Ci sono, insomma, sempre più motivi per valorizzare anche nel mondo del vino coloro che sono seriamente impegnati sul fronte della sostenibilità.
Ma il riconoscimento dato a Luca Formentini in qualche misura apre, forse per la prima volta, la strada ad una concezione più ampia del significato di “produzione sostenibile”.
I responsabili della Guida del Corriere della Sera, infatti – a partire dal coordinatore editoriale Luciano Ferraro, uno dei più autorevoli osservatori delle evoluzioni socio-economiche del settore vitivinicolo – hanno individuato in Luca Formentini un produttore che vive la sostenibilità in quella che potremmo definire una concezione “olistica”, cioè non legata solo ad un determinato aspetto della produzione, ma a tutta l’azienda nel suo complesso (a partire dallo spirito, dal pensiero del produttore).

Per questa ragione diventa particolarmente interessante e utile analizzare lo “spirito sostenibile” del titolare di Selva Capuzza perché, a mio parere, significa finalmente provare ad andare oltre i soliti stereotipi che in qualche misura hanno banalizzato in questi ultimi anni non solo il termine sostenibilità ma anche, se vogliamo, tutto il più ampio concetto di naturalità.

Ho la fortuna di aver potuto approfondire, soprattutto in quest’ultimo anno, la conoscenza di Luca e della sua azienda. Se dovessi scegliere un solo aggettivo per descriverlo non avrei dubbi: sensibile. Potrei quasi azzardare a dire che è il produttore di vino più sensibile che abbia conosciuto nella mia carriera, ormai ultratrentennale, nel mondo del vino.
Sensibile nel significato più profondo di questa parola, e cioè capace di percepire i valori più profondi di ciò che lo circonda, di ciò o con coloro con cui viene a contatto.
Luca non si ferma mai in superficie, anzi; rifugge da qualsiasi analisi o relazione che non è in grado di andare oltre le apparenze, il sentito dire, lo scontato.

Non è sempre facile per uomini e produttori come Luca Formentini sentirsi a proprio agio nel settore vitivinicolo, che spesso privilegia una comunicazione fatta di “paillettes e lustrini”.
La sensibilità di Luca l’ha portato e lo porta ad una ricerca costante di senso, di significati.
La sua grande passione per la musica è un esempio di quanto sopra evidenziato. Per molto tempo Luca non ha voluto “portare” la musica dentro la sua attività di produttore di vino.
Temeva che questo avrebbe portato ad una banalizzazione sia del significato che ha per lui fare musica che del suo senso del fare vino.

Oggi si può affermare – e anche questo riconoscimento importante del Corriere lo testimonia – che Luca sia riuscito a mettere insieme quei valori che costituiscono quella che possiamo definire l’identità autentica di Selva Capuzza.

Tutto è un percorso, – racconta Luca – un processo di avvicinamento, un itinerario di conoscenza. Raggiunto un obiettivo, questo ti consente di guardare “oltre”, di percepire cose prima non “visibili” ed è per questo che non ci si può mai sentire arrivati. Per questa ragione non ho mai considerato l’obiettivo della sostenibilità racchiuso esclusivamente in una certificazione. La certificazione, infatti, rischia di apparire come la parola fine di un processo e invece per me tutto si racchiude in un costante viaggio, fatto anche di interruzioni, di cambiamenti, di possibili errori, di nuove consapevolezze”.

La prima consapevolezza sul fronte della sostenibilità, Luca la matura a fine degli anni ’80 ed è la musica, in qualche misura, ad accendere il suo interesse.
“E’ vero – spiega Luca – sono state sei corde di chitarra ad accendere dentro di me l’idea che si potesse rendere un mondo migliore anche attraverso apparenti piccole scelte. Per la prima volta, infatti, mi trovai davanti ad un singolo packaging che racchiudeva sei corde di chitarra mentre fino allora venivano vendute in confezioni separate. Una cosa banale, se ci si pensa, eppure per me fu uno stimolo decisivo”.

“Ho compreso, infatti – prosegue Luca – che per cambiare il mondo si deve cominciare da piccoli gesti concreti, che sono alla portata di tutti e che ti consentono di monitorare concretamente la loro efficacia. Ed è anche per questo che sono stato sempre scettico nei confronti dei grandi proclami sulla sostenibilità a cui spesso non sono seguite scelte coerenti”.
E’ proprio questo ciò che ha portato Luca ad ampliare il concetto di sostenibilità rendendolo molto più concreto rispetto a quanto oggi spesso si osserva

“Non vorrei apparire lontano dalla realtà – sottolinea Luca – ma lo studio delle filosofie orientali mi ha portato ad avere della natura una consapevolezza spirituale. Solo così, a mio parere, si riesce a dare il giusto valore al fattore chiave delle nostre esistenze, che è insito nella natura e cioè nella vita. Se riduciamo, infatti, il rispetto della natura, in tutte le sue forme, ad una mera opportunità di mercato, non potremmo mai arrivare ad una sostenibilità vera e credibile”.

“E’ lo stesso approccio che ho avuto con la musica – evidenzia Luca – che non ho mai considerato con una valenza estetica, decorativa, ma come uno strumento di connessione verso uno strato emotivo più profondo, là dove la vita realmente accade”. A questo link, è possibile ascoltare un breve estratto dell’arte musicale di Luca Formentini.
In queste considerazioni si racchiude molto dell’essere “green” del proprietario di Selva Capuzza.

“Questa visione olistica, infatti – spiega Luca – mi ha portato a scelte talvolta difficili, magari anche in controtendenza rispetto ai più tradizionali trend del settore. Come ad esempio scegliere, oltre quindici anni fa, un’immagine minimalista mentre gran parte della comunicazione del vino ancora andava verso una ridondanza ed un’opulenza che ritenevo esasperata che, soprattutto, ci portava lontani dall’autenticità del nostro mondo”.

Da qui sono nate, ad esempio, le etichette “vuote” di Selva Capuzza “con pochissimi tratti per stimolare il concetto del semplice, ben lontano dall’essere banale, bensì come l’essenzialità del contenuto che di fatto è enorme, ed è la natura, quella del luogo, espressa dal prodotto”.
La stessa naturalità che Selva Capuzza oggi esprime nel suo inserimento ambientale: “Per me la vera architettura sostenibile – spiega Luca – è quella che mira alla conservazione e non alla trasformazione. Per questo vorrei cantine sempre meno “potenti” e sempre più “invisibili”, in armonia con il contesto che le circonda”.

Ma per Luca essere sostenibili significa anche continuare a studiare a ricercare: “Non sono certificato biologico ma ho un vigneto che conduco in modalità bio per comprendere ciò che funziona e ciò che invece non è possibile conseguire nel mio territorio. In questa direzione e mio parere oggi è fondamentale non costruire steccati sul fronte del sostenibile ma verificare sempre cosa ci può portare ad esserlo il più possibile, interpretando con sensibilità il luogo e osservando il contesto generale, con un atteggiamento di ascolto. Senza questo approccio rischiamo di chiuderci in modelli che non riescono a garantire una reale tutela del nostro ambiente e della nostra salute”.

Essere sostenibili per Luca Formentini è quindi una scelta che si muove tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che si è concretamente in grado di fare.
“Il mio impegno sulla sostenibilità – sottolinea Luca – si è anche espresso attraverso oltre 30 anni di “volontariato” tra Consorzi di tutela, dialoghi con istituzioni ed associazioni, senza però mai passare dalla cosiddetta politica partitica. Penso però sia stata un’esperienza fondamentale per avere un confronto aperto anche con le istituzioni coinvolte sul tema della sostenibilità e non avere solo una visione introspettiva.
Ciò mi ha portato ad avere una visione molto concreta della sostenibilità, in tutte le sue diverse sfaccettature, da quella ambientale e paesaggistica a quella legata alla salubrità, alle tematiche etiche e sociali, ma anche a quelle economiche – conclude Luca – e so che il mio è un percorso ancora lungo su questo fronte. Non mi sento certo migliore di tante altre aziende che magari si sono approcciate al tema della sostenibilità in maniera più scientifica, ma non per questo mi sento a disagio ad aver ricevuto questo riconoscimento.
Nella mia esperienza di produttore di vino, ma anche di uomo, so di avere toccato tutti i punti della “naturalità” per arrivare ai risultati e alle consapevolezze di oggi e questo mi può guidare a crescere ulteriormente nella visione della sostenibilità, con l’obiettivo che le tracce che immancabilmente lasciamo siano il più possibile leggere, lasciando a chi verrà dopo di noi quanti più futuri possibili”.