Dalla valorizzazione delle biomasse alla produzione in vigna fino alla commercializzazione di etichette di Ribolla Gialla, Pinot grigio, Prosecco, Rosè, Sauvignon a marchio proprio. Filare Italia è una start up orientata al futuro con solide radici sul territorio per vini che leggono integralmente il Friuli Venezia Giulia. Abbiamo intervistato il socio co-fondatore Marco Tam.
Che cos’è Filare Italia?
Un brand, nonché la nuova divisione vino del Gruppo Greenway, nato dalla volontà di due famiglie di imprenditori agricoli – Tam e Gardisan -, per dare il giusto spazio alla vigna oltre all’allevamento e alla coltivazione di seminativi. Un decennio fa l’inizio di un percorso comune chiamato Greenway, un gruppo nato con la finalità di creare valore d’impresa e di riversare ricchezza sul territorio, investendo in nuove tecnologie di produzione di energia verde. Produciamo energia elettrica da biogas per 16.500 MW/h annue, che va a soddisfare il fabbisogno di 20mila. Nel 2018 abbiamo avviato un nuovo progetto da sviluppare sulla filiera completa (farm to fork), con importanti investimenti in vigna. Filare Italia, appunto, un nome pensato sull’identità della vigna e la sua collocazione geografia per il quale abbiamo deciso di mettere al primo posto l’essere internazionali.
Creare un nuovo modello di business, creare localmente un indotto, far nascere e sviluppare una cultura d’impresa. Qual è la vostra fonte d’ispirazione?
Gruppo Greenway – passando da modello agricolo a modello aziendale e di business con competenze agronomiche e finanziarie- ha una governance molto chiara: operare tramite la finanza per sviluppare l’agricoltura, creando un indotto sul territorio di due milioni di euro, con 40 persone occupate tra collaboratori diretti e indiretti e una cultura d’impresa indirizzata a “fare gruppo” tra tutti gli attori della rete agricola. Con il progetto Filare Italia, abbiamo posto al centro il consumatore, il life-style e i principali trend globali, circa i consumi, i prodotti e i canali di distribuzione, dando vita ad un nuovo modo di interpretare in vino e il territorio friulano.
Energia, agricoltura, viticoltura. Qual è il vostro focus?
Da Greenway a Filare Italia un percorso inserito in un modello circolare sostenibile che limita la chimica, dove si coltiva energia e si produce vino. Grazie al nostro Digestato, ammendante organico – risultato del processo anaerobico della produzione di biogas – abbiamo ridotto la concimazione chimica limitando l’impronta di carbonio e l’uso di prodotti a base di petrolio. Il territorio e il vino, al centro il consumatore e la qualità di un prodotto riconosciuto e a basso impatto ambientale.
Quanti ettari avete e quali vitigni lavorate?
600 ettari in gestione di seminativi e 100 ettari di vigna di cui 40 del Gruppo Greenway, sui quali abbiamo sviluppato Filare Italia, collocati nei migliori areali e nelle migliori esposizioni tra il fiume Tagliamento e le colline circostanti. Ribolla gialla, Pinot grigio proposto in un packaging con tappo a vite per i mercati internazionali e del Nord Europa, Glera ma anche Sauvignon e Chardonnay trovano una dimensione unica insieme a Merlot e Cabernet per un totale di 90mila bottiglie prodotte attualmente ma con l’obiettivo di raggiungere le 400mila bottiglie – ricordo che siamo una start up -. I vini sono giovani, al momento la spumantizzazione avviene secondo il metodo Martinotti, ma stiamo presentando al mercato una Ribolla Gialla Metodo Classico grazie al contributo di enologi esterni che stanno interpretando il vino in modo diverso rispetto allo standard. “Diverso” per noi significa rappresentarlo nella sua complessità; in questo caso un Metodo Classico di 24 mesi che rievoca il territorio della Grave Friulana, un prodotto nuovo e non presente sui mercati. Anche la Ribolla ferma sta avendo un successo internazionale, vino giovane e fresco che incontra il piacere della quotidianità, un assaggio deciso, di mineralità e di grande raffinatezza.
Quali sono i vostri mercati?
Esportiamo l’80% in Canada, Stati Uniti, Europa dell’Est e nuovi paesi come Polonia e Slovacchia. Naturalmente sono nella nostra pipeline anche Italia e Germania, mercato che stiamo sviluppando come start up, nonostante la pandemia. La Germania è un’area dove il consumatore è molto attento alla qualità del nostro prodotto, in particolare apprezza molto la Ribolla Gialla declinata ferma e Brut. La vinificazione secondo il Metodo Martinotti avviene presso un partner esterno, un collaboratore che lavora per noi secondo le indicazioni dei nostri consulenti. Abbiamo infatti scelto di concentrare gli investimenti soprattutto in vigna, nel marketing e nelle vendite. Supportiamo l’attitudine naturale delle nostre terre a produrre vini d’eccellenza: prodotti che fanno convergere nel calice le peculiarità uniche di un territorio che esprime aromi unici e sapori ed emozioni che solo il vino sa dare.
Come date evidenza del vostro approccio all’economia green e alla sostenibilità?
Siamo completamente sostenibili e per questo possiamo presentare un prodotto “serio” senza dovere essere necessariamente “bio”. Abbiamo comunque cinque ettari in biologico (tra cui quelli vitati a Glera) mentre siamo convenzionali sui restanti con la certificazione in corso. Stiamo certificandoci anche per l’economia circolare, mentre non abbiamo nessuna certificazione sul green, essendo green “di fatto” non l’abbiamo ritenuta necessaria, anche se oggi è anch’essa fondamentale per il gruppo. Vede, se si è green, non si punta al green-washing. Anche il settore energia naturalmente è green. I significativi investimenti nelle energie rinnovabili ci hanno consentito di scrivere la nostra storia e di sviluppare da sempre un progetto di sostenibilità, attraverso nuove iniziative, tra cui l’irrigazione a goccia dei vigneti, con ali interrate in subirrigazione. Tali azioni hanno portato notevoli vantaggi come la gestione razionale della risorsa idrica attraverso un software, consentendo un risparmio fino al 20%.
Cosa pensa del biologico?
Da manager dico che in Friuli Venezia Giulia è difficile essere biologici. Ottocento millimetri all’anno di pioggia non lo permettono. Se parla con il contadino che massimizza la qualità, le dirà che è molto costoso e altrettanto difficile. Personalmente ritengo che sia una filosofia che non paghi, intendo dire che quando dobbiamo tracciare la linea di bilancio finale facciamo i conti con perdite decisive. Io penso che sia una scelta possibile e interessante solo per alcune realtà; nel nostro caso è necessario per soddisfare alcuni mercati, è parte di un portfolio rivolto a precisi clienti e ad un consumatore giovane sempre più attento alla natura e della sua sostenibilità e disposto a riconoscere un valore aggiunto al prodotto. Probabilmente il biologico potrebbe avere un senso parlando di vitigni resistenti. I più importanti CEO del settore agronomico le direbbero che: “il viso e la faccia sono biologici, i muscoli convenzionali”. I dubbi rimangono.
I prossimi passi nella crescita di Filare Italia.
Abbiamo appena acquistato nuovi vigneti inseriti nello splendido complesso del Seicento di Villa Minini, un contesto che potesse permettere un’ospitalità per valorizzare il territorio, dove potenziali opinion leader possono farci visita entrando in simbiosi con il nostro lavoro, pregno di umanità e di valore. Pranzi in vigna, piacevoli risvegli in un contesto vinicolo che possa rendere tangibili l’esperienza e la professionalità. Dal vitigno al bicchiere e dal bicchiere alla vigna. E proprio in vigna stiamo ragionando sulla parte Blockchain, nuove tecnologie da brevettare e utilizzare in campo, finalizzate ad osservare e monitorare vigne e filari da noi come da clienti e consumatori. Vogliamo creare un rapporto di fiducia e di verifica, fidelizzandoli alla nostra trasparenza. I progetti indirizzati al cliente vedono prossimamente il lancio in Canada del QRcode “Listen to me” sull’etichetta della nostra Ribolla Gialla, per guidare il consumatore in una descrizione gusto olfattiva e nel suggerire possibili abbinamenti.