Continuano ad arrivare notizie poco incoraggianti dai mercati, e mai come oggi si ha la sensazione che molti nodi siano arrivati al pettine. In particolare, si ha la percezione che quell’euforia post Covid che ci aveva fatto illudere che tutto sarebbe tornato come prima (anzi, meglio di prima) sia definitivamente defunta.
Non solo: ci stiamo rendendo conto che il vino, seppur venga considerato spesso un prodotto anticiclico (che funziona anche in tempi di crisi), in questa fase economicamente difficile registra cali di consumi e vendite un po’ in tutto il mondo.
Ma sarebbe, a mio parere, sbagliato limitarsi a fotografare questa situazione senza provare invece da un lato ad interpretarla e dall’altro individuare possibili soluzioni e scenari futuri.
E per farlo è fondamentale comprendere meglio le scelte dei consumatori, le loro motivazioni, le loro aspettative.
Purtroppo, come ho denunciato un mare di volte fino, temo, a stancare i nostri lettori, il nostro settore è da sempre allergico alle analisi sui consumatori di vino di cui, di fatto, non sappiamo quasi nulla.
Per questa ragione siamo costretti a ricorrere ad analisi più “generaliste” che non riguardano nello specifico solo il vino.
In questa direzione, ci viene in aiuto una recente analisi di Mintel, una delle principali società a livello mondiale impegnata nelle valutazioni sulle evoluzioni dei modelli di consumo.
Già nel titolo, l’indagine di Mintel è decisamente indicativa e mi verrebbe da aggiungere profetica: “How food and drink innovation will save the planet” (ovvero: “Come le innovazioni negli alimenti e nelle bevande salveranno il pianeta”).
Un titolo che fa comprendere fin da subito un fattore determinante ma che spesso dimentichiamo, direi soprattutto noi del vino, e cioè che non ci può essere futuro positivo senza innovazione. E per un comparto come il nostro che continua a considerare troppo spesso la tradizione come un totem inamovibile è chiaro che raramente si guarda all’innovazione.
Ma cosa è emerso, in particolare, dall’indagine di Mintel?
Innanzitutto qualcosa che coinvolge proprio i consumatori italiani (con un campione di 1.000 soggetti di età superiore ai 16 anni) che sono stati oggetto di uno specifico focus durante il quale è stato chiesto loro: “Quali sono le vostre priorità nell’acquisto di prodotti alimentari e bevande?”.
Il risultato è stato il seguente:
- 73% prezzo.
- 63% sapore/gusto.
- 46% la sua salubrità.
- 46% presenza ingredienti naturali.
- 32% impatto ambientale.
Il 69% degli italiani intervistati è però convinto che il modo più semplice per contrastare la crisi climatica è attraverso le loro scelte negli alimenti e nelle bevande. Quindi un livello di consapevolezza elevatissimo sulla responsabilità del cibo e delle bevande nel futuro del nostro pianeta.
Ma sempre l’indagine fa emergere che il 59% dei consumatori italiani che già acquistano cibi e bevande “sostenibili” ritiene che l’attuale minor capacità di spesa renderà meno importante la sostenibilità dei prodotti alimentari e delle bevande. Si tratta, va sempre sottolineato, di indagini qualitative che non hanno la pretesa di dare indicazioni di tipo statistico, ma sicuramente aiutano a darci alcune importanti tendenze.
Tra queste vi è sicuramente, ne abbiamo scritto altre volte, l’impatto della crisi economica, della minor capacità di spesa dei consumatori nei confronti dell’acquisto di prodotti “sostenibili”. Ma, anche in questo caso, se ci fermassimo solo a questo aspetto sbaglieremmo, perché significherebbe non fare nulla in attesa che l’economia inizi a risalire.
In realtà, altre analisi dimostrano come il fabbisogno del “sostenibile” sia sempre più forte nei consumatori di quasi tutto il mondo. Ma proprio l’attuale situazione economica spinge i consumatori ad essere molto più vigili per distinguere il sostenibile autentico rispetto al dilagante green washing.
Tornando ai risultati dell’indagine di Mintel, non sono certo meravigliato dell’importanza del prezzo (è e sarà sempre così), ma anche in questo caso sarebbe sbagliato considerare il prezzo “basso” l’unica strategia possibile; dovremmo riuscire a dare ai consumatori la corretta percezione di ogni determinato posizionamento. Ed è per questo che mi sento di sottolineare ancora una volta il mio dissenso nei confronti di una comunicazione del vino che ogni anno tende a nascondere le problematiche produttive (cambiamenti climatici, grandine, fitopatologie, aumento costi di produzione, ecc.) dando sempre la sensazione che alla fine sarà l’ennesima vendemmia del secolo.
È proprio questo atteggiamento che rende il consumatore non consapevole dei reali valori dei nostri vini, dei costi e delle difficoltà che devono affrontare le imprese nel produrli.
Un’ultima annotazione sul tema dell’innovazione. Prendo spunto da una telefonata con il mio amico produttore Mario Pojer che, giorni fa, mi sottolineava come Solaris, la varietà resistente interspecifica (quella che regala uno dei vini più noti della sua azienda, il mitico vino ancestrale Zero Infinito) è quella che è uscita perfettamente indenne da una della stagioni più difficili nella sua storia di viticoltore in Trentino. “Quello che però è sbagliato – mi ha spiegato Mario – è che queste varietà resistenti sono state presentate e accolte da molti miei colleghi come simil Cabernet Sauvignon, simil Chardonnay, cercando quindi blend che in qualche misura assomigliassero alle varietà “tradizionali”. Invece, io penso che mai come oggi dobbiamo studiare e interpretare queste varietà proprio per i vini nuovi che ci possono regalare per andare incontro alle nuove tendenze di consumo, ai nuovi consumatori”.
Come dar torto al sempre innovativo e visionario Mario Pojer.