Lunedì 6 marzo sono stato tra i tantissimi che hanno partecipato all’evento “Gli Svitati” che si è tenuto nella bella Villa Sorio di Gambellara (Vicenza).
Gli Svitati è il nome collettivo che si sono date cinque aziende – Franz Haas, Graziano Pra, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, per la prima volta insieme in maniera ufficiale, per raccontare e sostenere la loro scelta del tappo a vite.

Per chi si aspettava, come il sottoscritto, un piccolo incontro tra cinque imprese e un po’ di addetti ai lavori per confrontarsi su un tema complesso come quello delle “chiusure”, è stato colto sicuramente di sorpresa perché sono certo che l’evento di Gambellara rimarrà, in qualche misura, negli annali degli eventi comunicativi del vino.

Qualche collega ha parlato di un vero e proprio evento rivoluzionario che, di fatto, ha decretato la fine di un’epoca, di un approccio “tradizionale” al tema delle chiusure dei vini. Qualcuno è andato anche oltre, parlando di una sorta di “campane a morto” per i tappi di sughero.

Sicuramente, le parole usate dai cinque produttori presenti sono state forti e chiare, e il loro è risultato una sorta di manifesto del tappo a vite che, a detta loro, rappresenta la chiusura ideale per tutte quelle aziende che puntano a vini di altissima qualità capaci di esprimere al meglio le caratteristiche originarie e più autentiche del terroir in tutti i suoi diversi aspetti.

In estrema sintesi, il concetto emerso dagli “Svitati” è il seguente: “Se vogliamo vini protetti da ogni interferenza esterna con chiusure capaci di tutelare al meglio tutti i grandi sforzi che facciamo in vigna e in cantina, la scelta deve cadere inevitabilmente sui tappi a vite, senza nessun dubbio”. Quasi tutti hanno anche dichiarato che nel giro di pochi anni tuttI i loro vini saranno “tappati a vite”.
Una scelta estrema dettata dalla frustrazione nell’aver visto troppe volte il loro lavoro attento e preciso per ottenere grandi vini penalizzato da un tappo naturale che ha “contaminato” il loro prodotto, vanificando così tutti i loro sforzi.

A quest’ultimo proposito, Maria Luisa Manna, moglie del compianto Franz Haas, ha raccontato un aneddoto: “Ricordo che qualche anno fa, in un noto ristorante, i clienti ad un tavolo vicino al nostro ordinarono una preziosa bottiglia di Barolo di Sandrone. Conoscevo bene quel vino: era uno dei miei preferiti. Vedo che lo assaggiano e iniziano a parlarne male. Rimango stupefatta e quindi chiedo al sommelier, che conoscevo bene, se poteva farmi avere un bicchiere di quel vino. Assaggiandolo, mi rendo conto che era una bottiglia con difetti derivanti dal tappo di sughero. Chiedo allora di portare loro un’altra bottiglia, sempre di quell’annata, dicendogli che l’avrei offerta io. La degustano con piacere e i commenti si trasformano completamente in molto positivi”.

“Anche quella volta mi resi conto – ha concluso Maria Luisa Manna – di come in pochi minuti si può vedere naufragare, delegittimare, anni di lavoro e di impegno”.

Oltre ad eliminare i rischi di “contaminazione da tappo”, secondo gli “Svitati” il tappo a vite rappresenta anche la scelta migliore sotto il profilo della sostenibilità essendo realizzato in alluminio, materiale ad alta riciclabilità, molto più rispettoso dell’ambiente rispetto allo stagno.

Durante l’incontro è intervenuto anche Fulvio Mattivi, noto e autorevole ricercatore della Fondazione Mach di San Michele all’Adige che ha presentato, in particolare, i risultati delle ricerche dell’Australian Wine Research Institute, che nel 1999 ha avviato delle sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure di vino, compreso il tappo a vite.

“Lo scopo della sperimentazione – ha spiegato il prof. Mattivi – era quello di condurre una valutazione indipendente delle prestazioni della chiusura per fornire ai produttori di vino dati solidi su cui basare le proprie decisioni in merito alle chiusure”.

“Sebbene si prevedesse che la sperimentazione sarebbe durata dieci anni – ha proseguito Mattivi – è stata interrotta dopo tre anni perché i risultati erano chiari e perché il mix di chiusure disponibili sul mercato è cambiato notevolmente in un breve lasso di tempo, in parte a causa dei risultati della sperimentazione. I tappi con le peggiori prestazioni sono stati ritirati dal mercato, altri hanno subito importanti modifiche al design, mentre sono stati introdotti alcuni tappi completamente nuovi. Vi è stata indubbiamente una corsa al miglioramento, di cui beneficia tutto il sistema”.

Complessivamente, i risultati delle ricerche presentate dal prof. Mattivi hanno evidenziato risultati positivi per le chiusure con tappo a vite che, anche a distanza di anni, hanno consentito un mantenimento delle caratteristiche organolettiche adeguato e, in taluni casi, anche migliore rispetto a chiusure con tappi di sughero. In realtà, sul fronte della ricerca, i risultati presentati dalla lega relazione di Mattivi sono stati molti; mi fermo qui per questioni di spazio per fare alcune riflessioni che prendono spunto, in particolare, dalla degustazione che è stata fatta, successivamente alla presentazione, di cinque vini degli “Svitati” sia nella versione con tappo a vite, sia in quella con tappo di sughero.

Un confronto decisamente interessante e utile perché ha evidenziato due modelli di vini profondamente diversi tra di loro. Se fosse stata una degustazione alla cieca, per essere chiari, nessuno probabilmente si sarebbe accorto che si stavano degustando due vini della stessa tipologia e annata ma “semplicemente” con un tappo diverso.

Se penso, ad esempio, al mitico Vintage Tunina di Jermann (degustata l’annata 2013), la versione “a vite” era profondamente diversa da quella tappata con il sughero. La prima più fresca e fruttata ma anche molto meno ampia e complessa, intrigante rispetto alla versione con il sughero.

Ma al di là di quelli che possono essere giudizi totalmente soggettivi, mi sono trovato di fronte a vini molto diversi tra di loro e quindi con una difficoltà oggettiva a dire quale poteva essere la via preferibile. Ci si addentra completamente nel tema delle scelte aziendali, di filosofia produttiva mentre trovo, almeno rispetto all’esperienza che ho vissuto, difficile avere un quadro chiaro, preciso rispetto ad una scelta che si può preferire ad un’altra.
Non solo, ma ritengo che rimanga aperta la questione che non esiste una chiusura ideale per tutte le tipologie di vino e di gusti dei consumatori. Non vi è dubbio, infatti, che alcuni vini possano venire privilegiati nell’evoluzione da chiusure più “naturali” rispetto ad altri. Come pure non vi è dubbio che vi siano consumatori che amano, apprezzano un certo tipo di evoluzione dei vini rispetto a nuovi modelli evolutivi.

Ma esiste un’ultima, e non certo per importanza, annotazione: con una chiusura come il tappo a vite si rischiano meno “incidenti di percorso” rispetto ad una chiusura naturale come il sughero. Questo è sicuramente un aspetto innegabile sul quale è chiaro che tutti i player del sughero stanno da tempo lavorando per ridurre il più possibile i rischi di “contaminazione” di varia natura.

Non c’è dubbio, pertanto, che i produttori siano preoccupati dall’impatto negativo che può avere una chiusura sbagliata, ma è altrettanto vero, come giustamente ha sottolineato Mattivi, che vi sono problematiche, difetti del vino che non sono da ascrivere alla tipologie di tappo ma alla negligenza dell’enologo.

Per questo, penso che il messaggio degli “Svitati” (che, peraltro, rappresentano brand prestigiosi e di cui conosco il grande impegno) sia assolutamente legittimo, ma questo non deve nascondere o sminuire il fatto che produrre un vino di qualità, nelle sue diverse sfaccettature e profili, è frutto di un processo complesso di azioni, di competenze, di sforzi, anche di assunzione di rischi, dove il tappo è “solo” (seppur molto importante) una componente.

È tutto questo che fa del vino un prodotto unico e irripetibile dove il mix tra uomo e natura giocherà sempre un ruolo determinante. L’alternativa è diventare una bevanda idroalcolica sempre uguale nel tempo.