Si sono da poco conclusi i due giorni di approfondimento WinePeople in tema Hospitality. Abbiamo intervistato uno dei maggiori esponenti nel campo dell’ospitalità: Massimiliano Mauro è Hospitality Director di Ca’ del Bosco da circa 7 anni e, quest’anno, ha preso in mano la gestione dell’ospitalità dell’intero Gruppo Santa Margherita

Qual è il tuo ruolo all’interno dell’azienda? E, in termini di Hospitality, quali sono i punti di forza di Ca’ del Bosco? 

“Il mio compito è garantire esperienze uniche ai visitatori”. 

Ca’ del Bosco è la punta di diamante del Gruppo Santa Margherita. È geograficamente posizionata nel cuore della Franciacorta, strategicamente vicino a Milano ed ha una struttura di Hospitality ben consolidata. Prima della pandemia ospitavamo 20.22 mila persone l’anno, ora puntiamo ad arrivare a quota 30 mila. 

La fortuna dell’Hospitality del gruppo Santa Margherita oggi è la possibilità di sviluppare progetti pilota, replicabili anche in altre realtà, ormai paritetiche. Anche in questo senso, l’ospitalità di Ca’ del Bosco, trovandosi all’interno di un gruppo, riesce a dare un apporto sostanziale.

Cosa intendete per esperienze? E qual è il vostro target di riferimento?

“Un’esperienza la immagini, non la tocchi. Dato questo suo carattere astratto, è necessario che rimanga impressa nelle menti di chi la vive.”

L’esperienza è lo specchio del prodotto. Per questo motivo abbiamo dato, e stiamo tutt’ora dando, molta importanza al settore Hospitality, perché vogliamo che le nostre esperienze riflettano l’eccellenza dei prodotti che vendiamo. Il nostro obiettivo è di creare ambasciatori tra i consumatori finali che possano rivivere le emozioni vissute anche durante la semplice degustazione della  bottiglia di vino.. 

Per quanto riguarda il target di riferimento, il nostro ospite va dal classico amante del vino che vuole approcciarsi al mondo vitivinicolo al più esperto sommelier. In particolare, l’85% dei nostri ospiti  provengono da 3 regioni italiane in particolare: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Il mercato domestico si focalizza maggiormente su esperienze di durata più lunga; ad esempio, nei periodi di alta stagione come la tarda primavera ed estate riscontrano molto successo le esperienze in vigna.”

Di cosa si occupa, nello specifico, un Hospitality Director?

“Un Hospitality Director, oltre che alle visite in cantina, si occupa anche della parte che le precede; azioni di marketing e commerciali sono fondamentali. Nel nostro caso, essendo la maggior parte della clientela italiana, ci sono alcuni paesi che non ci conoscono. Il compito del settore Hospitality è quindi intercettare il potenziale cliente e sviluppare modalità per attrarlo, è il nostro braccio armato. 

Ritorna quindi il tema del territorio. In questo senso, diventano strategici sia le attività con i consorzi che le fiere vitivinicole importanti, come il Vinitaly; queste permettono di arricchire brand e farti riconoscere in maniera sentita. Il passaparola che si sviluppa in questi contesti così come nelle visite in cantina sono gli elementi che, nel lungo periodo, forniscono le garanzie migliori, anche rispetto al mass marketing.”

Quindi, semplificando, potremmo dividere il team Hospitality in due attività: chi si occupa della gestione della clientela prima dell’esperienza e chi guida l’enoturista durante la visita. Quali sono le competenze necessarie legate a queste due attività? 

“Tutte le attività legate all’ospitalità portano, necessariamente, al contatto con le persone. Perciò, entrambi i ruoli necessitano della capacità di comprendere il cliente

Da una parte, nel pre-esperienza, si utilizzano prevalentemente e-mail e telefonate attraverso le quali bisogna anche indirizzare l’interlocutore verso l’esperienza che più potrebbe piacergli. Dall’altra parte, non deve mai mancare il sorriso. Le visite in cantina vedono anche una decina di partecipanti, chi le guida deve quindi essere in grado di mantenere l’attenzione e sviluppare storytelling efficaci e interessanti.”

E quanto incide la conoscenza degli aspetti tecnici del vino nell’accoglienza?

“La formazione è sicuramente importante. Nella mia carriera ho lavorato per molti anni nel settore dell’hôtellerie, l’ospitalità all’interno delle strutture alberghiere. Nei grandi alberghi e i resort, prima della stagione, il personale svolge due mesi di formazione. 

Nella mia esperienza nelle aziende del gruppo, però, ho capito che non primario sapere come si produce il vino, o tutti i tecnicismi del settore che vengono già ampiamente spiegati nei manuali del settore. Nell’Hospitality il focus deve essere la capacità di raccontare; capire e spiegare perché le ’aziende sono diverse e uniche tra loro. Quando si hanno queste caratteristiche, la formazione avviene in loco, grazie al supporto degli enologi, ed è assolutamente importante che avvenga.”

Il 2020 è stato un anno difficile, come lo ha vissuto il Gruppo Santa Margherita? 

“La nostra clientela, lo scorso anno, è stata perlopiù focalizzata sul mercato regionale, che ha comunque dimostrato un grande interesse nel venire a visitarci. 

Abbiamo anche avuto grandi richieste di tour virtuali e qualcuno lo abbiamo organizzato, ma non è un mercato nel quale credo particolarmente. Come ho detto, l’Hospitality si basa sulle relazioni, sull’interazione. Il contatto umano, lo storytelling, la battuta, catturare il movimento del cliente e carpirne l’interesse, sono tutte situazioni che la comunicazione tramite uno schermo non permette, perché si pone come barriera.”

Facciamo un passo indietro a quando la pandemia ancora non c’era. 

Nel 2019 abbiamo chiuso l’anno con 21 mila presenze, di cui 7 mila quelle trade. Abbiamo ritenuto importante sviluppare il focus sulla Trade Hospitality, investendo nella ricezione in cantina dei nostri partner commerciali, ristoratori e sommelier. Il carattere del passaparola, legato allo storytelling, è cruciale nell’ospitalità. 

Il mercato domestico è anche fatto di questo. L’Hospitality nel mondo Trade ci permette di intraprendere relazioni con nuovi clienti e imprenditori. Nell’impatto con i consumatori finali, invece, abbiamo riscontrato che persone che hanno già fatto esperienze da noi ritornano volentieri per farne di nuove, come succede durante il Festival in Cantina del Franciacorta, portando a loro volta amici o colleghi.”

Ci parli da un brand autorevole, uno dei pochi italiani ad avere una struttura così consolidata. Hai qualche consiglio per le aziende vitivinicole più piccole? 

“Le piccole realtà hanno un vantaggio da non sottovalutare: durante le visite in cantine gli ospiti possono conoscere direttamente il produttore e questo semplifica lo storytelling. Gli aneddoti, che piacciono molto al visitatore, vengono raccontati in prima persona, non vedono intermediari. Le storie e le esperienze personali favoriscono infatti l’elemento curiosità che mantiene l’attenzione del cliente. 

Il punto di partenza per sviluppare una strategia di Hospitality efficace, però, sta nella concezione stessa di Hospitality. L’ospitalità non può essere vista come un profit center diretto, le sole visite non portano certo ad un cambiamento sostanziale degli economics di un’azienda ma diventano di supporto nella vendita del prodotto in cantina con margini industriali di tutto rispetto. Le visite sono invece fondamentali perché permettono di fare filiera e, quindi, di contribuire all’arricchimento del territorio circostante.

L’Hospitality è uno di quei settori che sarà sempre di più visto come asset strategico nello sviluppo delle aziende del settore, la strada è ancora in salita; ma sono convinto che con una buona strategia di Hospitality le aziende possono ottenere enormi benefici”