I cambiamenti e le turbolenze economiche e politiche stanno caratterizzando l’attuale frangente storico globale. In Cina abbiamo assistito allo scoppio del Covid-19, ai lockdown improvvisi e totali che permangono sino ad oggi, alla guerra commerciale con l’Australia con dazi fino al 218% sul vino e su altri prodotti. Ora siamo di fronte ad un acuirsi delle tensioni militari e geopolitiche con Taiwan (e di riflesso con gli USA) e ad un progressivo avvicinamento alla Russia: l’export cinese verso la Russia a luglio di quest’anno è cresciuto su base annua del 22,2%.
La crescita economica della Cina sta sensibilmente rallentando, anche a causa dei lockdown di aprile-maggio 2022: nel secondo trimestre (aprile-giugno) il PIL è cresciuto appena dello 0,4% sul 2021, il peggior risultato dal 1992 (escludendo la flessione del 6,9% nel primo trimestre 2020 causata dallo shock iniziale del Covid-19).
Inoltre, come testimonia Luca Garelli, managing director di Santerno Group (società specializzata che supporta le aziende vinicole italiane in Cina): “Il Covid-19 ha accelerato una volontà che già in precedenza il Governo cinese aveva: bloccare al massimo le intromissioni occidentali, mantenere la popolazione cinese in patria (per ragioni economiche, sociali e politiche), continuare a esportare in maniera sempre più massiccia. Confrontandosi con qualsiasi residente straniero in Cina, questi potrà testimoniare i continui e progressivi ostacoli che lo Stato cinese sta imponendo per rilasciare visti lavorativi e business, tant’è vero che il numero di stranieri è diminuito drasticamente (e non a causa del Covid-19)”.
Questi presupposti stanno chiaramente influenzando anche l’import di vino.
I dati di Nomisma Wine Monitor sui primi 7 mesi del 2022 mostrano una flessione dei volumi di vini importati del 15% rispetto al 2021 (poco più di 2,1 milioni di ettolitri di vino) e del 49% rispetto al picco massimo raggiunto nel 2018.
Questi gli ultimi dati relativi all’import di vino in volume (in particolare quelli fermi che rappresentano la categoria più importata e consumata) rispetto al picco raggiunto nel 2018 per Paese d’origine:
- Italia: -32%,
- Francia: -59%,
- Cile: -10%.
I vini cileni sono stati favoriti dagli accordi di libero scambio (dazio zero) siglati con la Cina nel lontano 2006. Questi accordi hanno spinto la crescita in volume (+3% sul 2021) del Cile e della Nuova Zelanda che godono degli stessi vantaggi.
In questo quadro che appare complesso e difficile, le opportunità per le imprese vitivinicole italiane non mancano, la Cina sta implementando diversi progetti di sviluppo commerciale, come rileva Garelli: “I progetti di espansione commerciale, creazione di aree free-trade, offerta di beni di consumo (anche esotici) sono al primo posto nell’agenda dello Stato cinese. Vedasi il grande progetto del Pearl River Delta nel Guangdong, oppure la Free Trade Area nell’isola dell’Hainan, solo per fare qualche esempio”.
“Nei prossimi anni la Cina sarà ancora di più un enorme mercato in espansione, anche per i nostri vini” sottolinea Garelli “ma solo chi oggi è fisicamente presente (soprattutto in forma strutturata) potrà goderne, per chi invece è fuori, sarà quasi impossibile riuscire ad accedervi. L’invito è quello di creare connessioni, collaborazioni (cosa a cui noi italiani siamo un po’ allergici) il più velocemente possibile, in modo da potersi strutturare con costi ragionevoli e creare un percorso di crescita sostenibile e costante”.