Quest’anno, il “Benvenuto Brunello” (la più storica delle anteprime delle denominazioni italiane) ha anticipato i tempi svolgendosi a novembre (19-20 novembre) anziché nell’abituale mese di febbraio.
Un anticipo che qualcuno temeva, considerando soprattutto la difficoltà di giudicare l’ultima annata che entra in commercio ancora in uno stato così “infantile”, in questo caso la 2017.
Non che a febbraio sia tanto più semplice giudicare un’annata, tanto che ormai il “gioco” più bello (anche tra gli addetti alla critica enologica) è vedere quanto ci si è sbagliati a giudicare presto certe vendemmie.
A me l’anticipo del Benvenuto Brunello è piaciuto moltissimo, anche perché mi ha consentito di godere di uno dei più bei territori del vino al mondo in una stagione migliore, con una vegetazione che regala ancora colori commoventi. Non so se è solo una mia opinione ma l’autunno di quest’anno ci ha regalato un “foliage” che non ha nulla a che invidiare a quello famoso del Maine.
Ma, a parte le note di colore, l’anteprima del Brunello di Montalcino ci ha raccontato di una denominazione in ottimo stato di salute; addirittura superiore a quanto forse molti potevano aspettarsi, vista anche la perdurante difficile situazione dettata da una pandemia che sembra non voglia mollare la sua malefica morsa.
I dati sono stati presentati da un giustamente orgoglioso Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, durante un piacevole pranzo per i media.
“Penso non sia simpatico fare la parte dei “secchioni” – ha detto Bindocci – ma allo stesso tempo non è giusto soffrire di sindrome da “primi della classe”, perché non si può sempre vincere e convivere con il peso che non siano ammessi gli errori. Non vogliamo apparire i più bravi ma non vogliamo nemmeno nascondere i successi sotto il tappeto”.
Ha ragione Bindocci: sarebbe sbagliato nascondere i successi sotto il tappeto, non solo per questioni “comunicative” ma anche perché questo consente a tutti coloro che si occupano di economia vitivinicola di comprendere meglio le ragioni del successo e quindi le modalità per preservarlo. Ma, prima di partire dai dati di mercato, penso sia importante sottolineare un aspetto che ha molto a che fare con il successo di questo vino, e cioè un territorio che è stato preservato dove la vite rappresenta solo il 15% della superficie della denominazione.
“Dal 1997 – ha sottolineato il presidente del Consorzio – manteniamo la stessa superficie vitata atta a diventare Brunello (circa 3.500 ettari ndr). Non solo. Manteniamo intatto anche l’ecosistema del nostro territorio, fatto per il 50% da bosco e incolti. Un ecosistema da preservare, perché sono soprattutto la biodiversità, le caratteristiche morfologiche e climatiche a rendere unico il nostro vino”.
Come non essere d’accordo con Bindocci. Basta fare una passeggiata nelle campagne di Montalcino per essere “sovrastati” da una natura che è ancora in gran parte selvaggia nel senso più autentico di questa parola.
Complice una giornata meravigliosa, sabato mattina ho fatto una passeggiata nei dintorni del “Passo del lume spento”, tra boschi, campi incolti, piccoli appezzamenti vitati, qualche casale ristrutturato preservando al massimo la loro anima più autentica. E’ stato bellissimo e la dimostrazione più evidente del valore di questa denominazione e di quanto la reputazione del grande Brunello sia frutto proprio di questa sana e coraggiosa “politica di mantenimento”.
Ma a vederla così non siamo in pochi, considerando che, secondo una ricerca di Wine Intelligence – che ha intervistato un campione rappresentativo di consumatori italiani – il Brunello (con il 67%) è il vino più conosciuto del Paese, davanti a Prosecco doc e Chianti docg (64%), Chianti Classico (62%), Montepulciano d’Abruzzo e Franciacorta (61%), Barolo e Barbera d’Asti (58%), Lambrusco e Asti e Moscato d’Asti (51%). Davanti cioè a dei veri e propri colossi della vitivinicoltura italiana.
Una notorietà che si traduce poi con crescite importanti sul mercato.
“Nei primi 10 mesi del 2021 – ha evidenziato Bindocci – i contrassegni di Stato consegnati sono stati il 53% in più rispetto alla media degli ultimi 5 anni. Parallelamente, nell’ultimo anno sono crollate le giacenze dell’imbottigliato, e il valore dello sfuso è cresciuto in doppia cifra. Anche nella Gdo, un mercato per noi secondario ma sempre più significativo sul segmento premium, il Brunello ha compiuto un balzo a valore del 47%. E soprattutto, tra i vini di alta fascia, è nettamente quello con il prezzo medio più alto: quasi il 30% in più rispetto alla denominazione seconda in classifica”.
In relazione all’attrattività del territorio del Brunello, inoltre, vengono in aiuto i dati dell’enoturismo che quest’estate è tornato agli stessi livelli del 2019.
Altro elemento chiave dell’attuale successo del Brunello è il suo essere sempre più “green”.
“Credere che la sostenibilità – ha sottolineato il presidente del Consorzio – è sì un dovere, ma è anche un’opportunità di mercato. Oggi, non a caso, il 50% della nostra vigna è biologica, le aziende green si moltiplicano, e questo è un valore anche in chiave enoturistica, che nel pre-Covid era cresciuto del 130% negli ultimi 10 anni”.
Un’evoluzione quindi che non è sbagliato definire straordinaria e che si ripercuote in maniera evidentissima sul valore fondiario delle denominazioni che in questi ultimi trent’anni è cresciuto del 2.000%! Raggiungendo i 2 miliardi di euro.
Se penso che tra fine anni 70 e primi anni 80 la mia famiglia era coinvolta in una proprietà a Montalcino, è difficile non mangiarsi le mani. Nel 1992, infatti, un ettaro di terreno vitato di Brunello di Montalcino valeva 40 milioni delle vecchie lire, oggi il prezzo è circa 20 volte superiore, pari a 750.000 euro, con una rivalutazione record del +1.962% che raggiunge il +4.500% se si allarga l’orizzonte temporale al 1966 (quando un ettaro vitato costata 1,8 milioni di lire).
Ci sarebbero altri dati interessanti da aggiungere, tuttavia penso siano sufficienti questi per raccontare di una denominazione che non solo è in stato di grazia, ma che ha anche tutte le caratteristiche per esserlo anche nel prossimo futuro.
Questo non fa certo sedere sugli allori i produttori che, per voce sempre del presidente Bindocci, hanno evidenziato la necessità di essere “più bravi” sul fronte prezzi.
“La scommessa principale – ha concluso Bindocci – è ancora quella del prezzo. Qui il lavoro non è certo terminato, ma siamo convinti che un Consorzio che coinvolge il 98% della produzione possa ancora fare molto per alzare ancora di più l’asticella del valore”.