La vostra indagine sul campo, in sinergia con le ricerche del prof. Riccardo Guidetti, ha analizzato i consumi energetici di alcune cantine ed i costi conseguenti. Quali sono i risultati più rilevanti e le considerazioni che Lei ne trae?

Sinora le imprese avevano dato poco peso al costo dell’energia elettrica perché impegnava una porzione minima dei costi complessivi. Oggi, invece, la crisi che conosciamo ha aumentato notevolmente l’incidenza di questa voce sul budget aziendale portando all’evidenza la necessità di porre attenzione al bilancio energetico dell’azienda. Dagli studi del prof. Guidetti e dalla nostra analisi sul campo abbiamo desunto che il consumo medio di energia elettrica per vinificare e imbottigliare un litro di vino è di circa 0,7 kWh, mentre per lo sfuso si può stimare un consumo medio di 0,5 kWh.
Se relazioniamo questi dati ai circa 45 milioni di ettolitri di vino commercializzato nell’anno tra imbottigliato e sfuso, il totale dei consumi delle cantine italiane arriva a sfiorare i 3 miliardi di kWh per un costo complessivo che sta superando i 600 milioni di euro complessivi e si stima possa raggiungere quota 800 milioni.

Questo calcolo è stato molto complesso perché nella nostra inchiesta abbiamo rilevato una grande eterogeneità di contratti e tariffe energetiche con difformità che raggiungevano il 300% da una impresa all’altra.
L’industria del vino non possiamo certamente considerarla energivora: ma può notevolmente migliorare in termini di risparmio e ottimizzazione energetica. Oggi, ancora, il 90% dell’energia utilizzata nelle cantine è elettrica e – con gli incrementi di prezzo arrivati al +300% solo nell’ultimo biennio – questa voce di spesa è diventata centrale meritando un’attenzione molto diversa dal passato. 

Le difficoltà legate alla supply chain globale (aumento dei costi, mancanza di container, tempi di consegna smisurati) sono sempre più pressanti, quali sono le prospettive e gli sviluppi di questa “tempesta perfetta”?

La supply chain delle forniture insieme all’energia sono la linfa di tutti i sistemi produttivi del mondo: motivo per cui quando si bloccano o rallentano si produce un effetto a catena che rischia di fermare il sistema.
Oggi per le imprese del vino, paradossalmente, il punto di maggior criticità non è più quello storico, legato alla chiusura di contratti vantaggiosi con il trade, ma è diventato il confezionamento e la consegna del prodotto. Quando le consegne di vetro, cartoni ecc. saltano, di fatto si rischia di non essere in grado di consegnare fisicamente il prodotto. 
Qual è l’impatto economico di questo processo? È incalcolabile e non è semplicemente legato ai mancati introiti derivanti dalle consegne non effettuate: il rischio è un altro effetto a catena di credibilità, posizionamento, tenuta dei contratti, ecc. Siamo entrati in una crisi strutturale di cui ancora non si vede l’uscita dal tunnel e che avrà ripercussioni dirette sulle vendite. Perché c’è una componente psicologia che non va sottovalutata: se non si intravede la fine, i primi a bloccarsi sono i consumi. 

L’aumento vertiginoso dei costi dei materiali secchi e dell’energia elettrica, rischiano di bloccare l’eccellente rimbalzo dell’export di vino, superiore ai livelli pre-pandemici. Quali sono, secondo Lei, le possibili strategie per uscire da questa impasse? 

Tralasciando il quadro macroeconomico, su cui anche gli analisti hanno posizioni divergenti, nel piccolo della nostra filiera ci sono diversi accorgimenti utili a contenere costi e consumi. Primo, cercare di fermare gli aumenti del prezzo della materia prima energetica bloccando i contratti con i fornitori o aderendo ai gruppi di acquisto. Le aziende che si sono mosse per tempo in queste direzioni, sono quelle che al momento hanno spuntato i prezzi più competitivi per quanto riguarda l’energia elettrica. Ma dalla nostra indagine emerge che sono ancora poche le realtà che, ad esempio, hanno aderito ai gruppi di acquisto.

Poi c’è la diversificazione delle fonti di approvvigionamento con le rinnovabili. Il mondo del vino ha investito in particolare nel fotovoltaico (tutte le aziende che abbiamo coinvolto nell’inchiesta utilizzano anche questa fonte di energia). Ma pure in questo caso ci sono spazi di miglioramento importanti: corale è stata la richiesta di nuovi fondi pubblici a supporto degli investimenti privati. Ora, sembra che dal PNRR stiano arrivando.

E, ancora, l’analisi del bilancio energetico delle imprese con la revisione delle pratiche produttive. Il 75% del consumo annuale di energia elettrica è utilizzato in fase di pigiatura e vinificazione, mentre l’imbottigliamento ed il fine linea assorbono attorno il 25% così come circa la metà del consumo si concentra nel periodo vendemmiale. Un quadro dove si possono adottare accorgimenti anche semplici per contenere i consumi: dalla banale pratica di spegnere le macchine quando non vengono utilizzate, all’utilizzo dei generatori di corrente per gestire i picchi d’utilizzo vendemmiale, come suggerisce il prof. Guidetti. Pratiche molto poco diffuse ma che potrebbe essere concretamente d’aiuto.
Infine, gli investimenti in macchinari e tecnologie di ultima generazione a basso impatto energetico. Un tema su cui la filiera delle forniture enologiche sposa la causa dei produttori vitivinicoli ponendo l’ottimizzazione dei consumi come principale driver dell’innovazione. Una frontiera dove le innovazioni tecnologiche diventano determinanti nel processo di conversione sostenibile delle cantine perché migliorando l’efficientamento energetico, ottimizzano i costi energetici e le performance di sostenibilità sul medio-lungo periodo.

Il settore non è in grado di assorbire totalmente questi aumenti e dovrà in parte riversarli sul prezzo finale al consumatore. Alcune aziende rischiano di uscire dal mercato?

Come è stato più volte ripetuto, saranno i vini entry level – che rappresentano una gran parte del mercato del vino italiano – a subire maggiormente la crisi. Con margini esigui non si potrà evitare l’aumento di prezzo: si sta parlando di richieste che si aggirano attorno +10% in media che la distribuzione è disponibile in parte ad accogliere. Ma bisognerà vedere come reagirà il consumatore davanti a questi rincari. Io sono moderatamente ottimista perché le aziende che lavorano sull’entry level sono di una certa grandezza e hanno quindi la capacità di reggere la congiuntura sfavorevole purché, ovviamente, sia temporalmente limitata. Credo che, ancora una volta, chi ha investito nella multicanalità riuscirà a gestire molto meglio questo momento di difficoltà potendo giocare su più fronti e con gamme variabili di prodotto e di margine. Vedremo come reagirà l’e-commerce che vive quotidianamente di logistica e si trova alle prese con una crisi dei trasporti che incombe.

Questo frangente critico probabilmente durerà fino a fine 2022, qual è la sua opinione sugli interventi governativi disposti sinora e sulle imposte che gravano sulla bolletta energetica?

Di fronte a prezzi triplicati alla fonte non è pensabile che gli interventi governativi possano risolvere la situazione. Tutte le misure “tampone” adottate fino ad oggi sono preziose ma è urgente lavorare in prospettiva. Diminuendo la nostra dipendenza energetica dall’estero – e qualcosa si sta muovendo in tal senso – e aiutando le imprese ad investire in fonti rinnovabili, ricambio dei macchinari, ricerca e sviluppo. Perchè, ad esempio, la digitalizzazione delle aziende sta favorendo l’introduzione di sistemi produttivi a basso impatto ambientale che si traducono in maggior sostenibilità anche economica.