Giovani e consumo di vino. Dove stanno andando le nuove generazioni nel mercato americano? Le recenti ricerche hanno rilevato una crescente preoccupazione per le sorti del consumo del vino, in un mondo dove il digitale sta prendendo sempre più piede e molto di quello che interessa alle generazioni del futuro passa attraverso questo canale.  

Abbiamo intervistato Gino Colangelo, presidente dell’agenzia americana Colangelo & Partners, che ci ha raccontato in che direzione sta andando la comunicazione dei brand negli USA. 

C’è un’innegabile preoccupazione per la Generazione Z ed il calo dei consumi che sta manifestando. Come fare breccia nei cuori dei più giovani?

Da un lato, la Gen Z è come tutte le generazioni precedenti: man mano che il loro stile di vita diventerà più stabile e, per certi versi, sedentario – possedere una casa, mettere su famiglia, consumare pasti in casa – il consumo di vino diventerà anche più abitudinario. 

Dall’altro lato, la generazione Z ha una propria etica: apprezza la trasparenza, si preoccupa del pianeta, è consapevole del potere del marketing e cerca di non farsi manipolare da esso nelle scelte di gusto, ma è anche incline alle tendenze come qualsiasi altra generazione.  

Quali strategie risultano dunque vincenti?

La comunicazione di base è il modo migliore per coinvolgere questo pubblico giovane. 

Dunque via libera al coinvolgimento dei micro influencer, all’uso dei social media in modo sociale (rispondendo ai commenti, partecipando alle conversazioni), alla comunicazione verso media mirati. Faccio un esempio: i media che coprono l’outdoor quando parlo alla Generazione Z con stili di vita attivi.

Infine, mi sento di consigliare ai produttori di assicurarsi che le comunicazioni siano autentiche e parlino di valori.

Studi recenti ci dicono che i giovani GenZ preferiscono esplorare le RTD e gli alcolici piuttosto che la birra e il vino. Una tendenza che sembra rafforzarsi con l’avanzare dell’età. Che tipo di approccio suggerisce? 

Comunicare che il vino è cibo, il vino è cultura. Il vino non può essere presentato come un’alternativa alle bevande alcoliche. Il vino richiede uno sforzo maggiore, per informarsi ed educarsi, e certamente un maggiore investimento economico rispetto agli RTD e agli alcolici.

Ma una volta che un brand si connette con questo messaggio, si guadagnerà un consumatore fedele.

I giovani e il digitale: certamente questo canale può facilitare il contatto con la GenZ. Secondo Lei, che tipo di approccio è necessario avere nei confronti del digitale? 

Multidisciplinare. Bisogna coinvolgere il digitale in diversi momenti: eventi, promozioni, attivazioni retail. Il digitale è onnipresente; i marchi devono creare un coinvolgimento digitale per ogni punto di contatto col consumatore. Esplorate nuove piattaforme, come Threads, e avete una strategia per ogni piattaforma di social media. Facebook raggiunge un pubblico più anziano, ad esempio, mentre Tik Tok è più rivolto ad un pubblico giovane. In sostanza, quasi tutte le comunicazioni con la generazione Z sono digitali, in un modo o nell’altro.

Dal Suo punto di vista, qual è l’approccio delle aziende italiane nei confronti del digitale? Cosa fanno bene e cosa hanno ancora bisogno di implementare e migliorare?

La chiave è misurare e regolare costantemente il ritorno dell’investimento (ROI) di ogni particolare piattaforma. Dall’altro lato, a volte vedo, tra gli operatori del settore vinicolo italiano, la tendenza a saltare da un mezzo all’altro – ad esempio dalle PR tradizionali ai social media, all’influencer marketing – in base a ciò che fa più tendenza in quel momento.  

Credo invece che la chiave sia utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione simultaneamente, certo modificando le proporzioni tra le varie forme di comunicazione in base agli obiettivi e al pubblico target e controllando continuamente i risultati.  

Penso, infine, che sia fondamentale investire a lungo termine: costruire un marchio di vino negli Stati Uniti richiede investimenti costanti nel tempo.

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