Non ero mai stato a Casale del Giglio pur apprezzando i loro vini da molti anni. Mi ci ha portato Gino il camper in una calda giornata di luglio.

La prima cosa che mi hanno portato a vedere, e questo la dice lunga sulla straordinarietà dei territori vitivinicoli italiani, non è stata la cantina o i vigneti, ma un’acropoli Romana al quale da numerosi anni stanno lavorando un gruppo di archeologi olandesi coadiuvati da giovani studenti.

Si è proprio così, Casale del Giglio non solo testimonia quali vertici qualitativi può raggiungere il Lazio del vino, ma è anche la “prova provata” di cosa può mettere in campo l’Italia del vino.

Si fa un gran parlare, per carità giustamente, di Napa Valley in California, di Stellenbosh in Sudafrica, di Barossa Valley in Australia, ma parliamoci chiaro chi è in grado di mettere insieme vino, arte, storia, cultura come il nostro Paese? Non voglio apparire eccessivamente sciovinista ma anche la Francia fa fatica a starci dietro su questo fronte perché il patrimonio storico e artistico sul quale sono felicemente inserite gran parte delle nostre aziende vitivinicole non ha paragoni al mondo.

Poter osservare il vigneto “sperimentale” di Casale del Giglio dall’alto, da un’acropoli che tutt’oggi restituisce reperti a partire dal IX secolo a.C., penso che confermi più di tante parole la validità di quanto sopra esposto.

Siamo venuti qui, nel cuore dell’Agro Pontino, per cercare di comprendere meglio le ragioni che hanno portato Casale del Giglio a diventare un simbolo fondamentale del prestigio vitivinicolo laziale.

E, lo anticipiamo subito, l’abbiamo compreso senza difficoltà, con estrema chiarezza.

Ci è bastato osservare proprio quel vigneto sperimentale dall’acropoli Romana per capire la lungimiranza e la competenza di Antonio Santarelli che nel 1985 diede il via, assieme al padre Dino, ad una delle più interessanti ricerche vitivinicole condotte da un’azienda privata in collaborazione con alcuni dei più autorevoli ricercatori italiani come Attilio Scienza, Angelo Costacurta e Fulvio Mattivi.

Furono messi a dimora, infatti, quasi 60 diversi vitigni per capire quali si sarebbero adattati al meglio a quel terroir e furono realizzate le relative microvinificazioni (tuttora visibili nella suggestiva cantina).

Non ci era mai capitato di imbatterci in una ricerca così ampia che, tra l’altro, ci ha testimoniato concretamente cosa significa il complesso binomio “vitigno e terroir”.

Basta, infatti, osservare quella sessantina di filari di diverse varietà per capire facilmente, guardando la vegetazione, la produttività, lo stato di salubrità, quali vitigni si sono meglio adattati a quel territorio, a quel suolo, a quel microclima.

Un lavoro straordinario che ha gettato le basi per la qualificazione della produzione vitienologica di Casale del Giglio.

Ma Casale del Giglio rappresenta anche il sogno di Antonio Santarelli di proseguire il progetto di papà Bernardino (detto Dino), iniziato nel 1967 e che successivamente si è potuto avvalere della collaborazione di un famoso enologo altoatesino, Paolo Tiefenthaler che tutt’oggi accompagna l’azienda nel suo costante percorso di miglioramento qualitativo.

Raccontato oggi sembra un successo “semplice”, ma in realtà le cose non stanno proprio così. Penso, infatti, fossero pochissimi oltre cinquant’anni fa pensare che quella terra bonificata pochi decenni prima potesse esprimere una interessante vocazionalità anche sul fronte viticolo.

Invece Dino intuì presto le potenzialità e costruì proprio in questa terra a circa 50 km a sud di Roma un nuovo modello di viticoltura investendo in varietà “impensabili”, prima di allora in questo territorio come lo Syrah, il Petit Verdot, il Sauvignon, il Viognier e il Petit Manseng. Vitigni tutt’oggi presenti e capaci di regalare vini di assoluto pregio e ai quali si sono aggiunti vitigni più autoctoni come il rosso Cesanese e il bianco Bellone.

Questa ampia attitudine del territorio a prestarsi al meglio a diverse varietà la si può considerare la principale caratteristica di Casale del Giglio che con i suoi 180 ettari vitati rappresenta una sorta di micro continente enologico. 

Non meraviglia, pertanto, l’ampiezza della sua gamma prodotti oggi rappresentata da 19 etichette tra bianchi, rosati e rossi e una vendemmia tardiva, a cui vanno aggiunte tre grappe e un eccellente olio extra vergine.

Insomma a Casale del Giglio hanno trovato risposta tutte le nostre domande e ci ha spinto a porci un’altra domanda:”Riuscirà finalmente il Lazio del vino ad accreditarsi definitivamente nell’olimpo delle regioni vitivinicole più vocate del nostro Paese?”.

Anche questa risposta la si può trovare in questo angolo del Lazio dove molti anni fa la famiglia Santarelli, proveniente da Amatrice, capì che si poteva tentare “tutto il Nuovo possibile”.