A Montalcino ho passato alcuni degli anni più belli della mia vita. Sono nato a Siena da mamma toscana e papà veneto che presto ci ha riportato nella sua regione natale. Ma per quegli strani destini della vita negli anni 70 la Toscana è tornata nelle nostre vite grazie proprio ad una proprietà nei pressi del Passo del Lume Spento. Gli ettari vitati erano una ventina, ma in compenso boschi e pascoli rappresentavano i due terzi dell’azienda. Vista oggi può sembrare un paradosso, ma in quegli anni quell’azienda guadagnava più con le pecore rispetto al vino. I fratelli Mariani assieme al cavalier Rivella non erano ancora arrivati a costruire Banfi e Montalcino non era certo quello che è decollato alcuni anni dopo, negli anni ’80.

Ma quella terra che da adolescente giravamo in lungo e in largo io e mio fratello sopra l’Ape di Delfo, il fattore, non è mai uscita dal mio cuore.

Per questo ogni volta che torno qui la felicità mi assale in maniera quasi incontrollabile. 

Questa volta ci sono arrivato con Gino in camper, destinazione Vigna Spuntali, uno dei luoghi cult della vitivinicoltura ilcinese, 15 ettari di vigna fantastica, un cru assolutamente peculiare di questa denominazione e tra breve, grazie alla spinta data da Ettore Nicoletto, da quest’anno amministratore delegato di Bertani Domains (il gruppo della famiglia Angelini), diventerà anche uno dei luoghi di accoglienza più belli e suggestivi di questa splendida terra.

Vigna Spuntali appartiene, infatti, a Val di Suga e fa parte del trittico vitato al quale si deve aggiungere anche Vigna del Lago e Poggio al Granchio.

È molto importante sottolineare questi tre diversi terroir perché si tratta di una scelta ben precisa dell’azienda, e in particolare dell’input vitienologico dato da Andrea Lonardi che di Bertani Domains è il direttore operativo nonché uno dei più preparati ed eclettici agronomi del vino italiano.

È stato proprio Andrea già alcuni anni fa a farmi comprendere al meglio la scelta coraggiosa e lungimirante di Val di Suga che ha scelto la via della “zonazione aziendale” anticipando quella che, a mio parere ma non solo, dovrebbe diventare una scelta di tutta la denominazione di Montalcino.

Fin da ragazzo, infatti, mi veniva raccontato delle differenze dei Brunello ottenuti dal Sangiovese  a seconda dei diversi terroir produttivi. Ma se per molti anni è stato inevitabilmente necessario concentrarsi nella promozione del brand Montalcino, è da parecchio tempo che molti si chiedono perché non costruire una classificazione per questa denominazione ormai così prestigiosa e costantemente sotto i riflettori del mondo.

Servirebbe a garantire una chiave di lettura più chiara di questa denominazione e, al tempo stesso, fornire contenuti comunicativi più efficaci alle imprese mettendole allo stesso livello delle icone territoriali francesi.

Ma a Val di Suga questa scelta l’hanno fatta da tempo e oggi è infatti in grado di far capire in maniera chiara le diverse anime del Brunello. Questo è sicuramente un merito molto più importante di quanto si possa immaginare.

Un valore che abbiamo apprezzato e compreso nuovamente anche in questa nostra visita che ci ha visti accompagnati da Pietro Riccobono, enologo e uno degli uomini di punta dello staff tecnico di Bertani Domains.

Pietro ci ha fatto entrare prima di tutto dentro il cuore di Vigna Spuntali, in questi 15 ettari di vigna che offrono, tra l’altro, forse il più bel paesaggio di Montalcino e che da tempo, grazie anche alla sua esposizione sud-ovest, viene riconosciuto come uno dei migliori terroir ilcinesi.

Le conferme delle diverse peculiarità dei terroir di Montalcino le abbiamo poi avute nella bella sala degustazione di Val di Suga che guarda la Vigna del Lago e da anni rappresenta una sorta di cancello a nord della denominazione, così come Vigna Spuntali è quello a sud.

I tre cru dell’azienda hanno fatto ancora una volta sentire la loro voce e abbiamo inoltre avuto la fortuna di degustare nuovamente, ci era capitato di poterlo fare alcuni mesi fa durante il Benvenuto Brunello, l’annata 2015 di Val di Suga che ci ha convinto ulteriormente, e potremmo anzi dire che gli 8 mesi in più in bottiglia hanno regalato spessore, eleganza, complessità, testimoniando così che il Brunello non deve mai temere il tempo.

Poi a pranzo, ai piedi della straordinaria Fortezza di Montalcino, la chiusura del cerchio che ci porta a sottolineare che le tre anime del Brunello raccontate a Val di Suga sono veramente riconoscibili ed è uno straordinario valore aggiunto capire che il Vigna Spuntali è caratterizzato da tannini più setosi, morbidi, dove frutta candita e cioccolato ti ammaliano subito; mentre Vigna del Lago lo riconosci nell’immediato dal colore più scarico ma in bocca le note agrumate e, soprattutto, di chinotto che mi rimandano ai Brunello della mia gioventù; per finire con il Poggio al Granchio, il più sapido di tutti, con un’acidità più marcata (che ti fa presagire anche forse qualcosa in più in termini di longevità), dove lo “storico” suolo toscano del Galestro fa sentire tutta la sua influenza.

Sottolineare la difficoltà di lasciare Montalcino è quasi inutile e mi consola solo il fatto che tornerò sicuramente presto.

Ma prima di andarmene spingo il povero Gino verso Sant’Antimo. Non posso mai lasciare questa terra senza passare prima, magari anche solo per pochi minuti, da questa incredibile Abbazia romanica del IX secolo. I monaci benedettini che avevo conosciuto anni fa e che mi incantavano con i loro canti gregoriani durante la novena serale oggi non ci sono più.

Ma quello che è rimasto integro è il suo fascino che illumina tutta questa terra. 

Tornerò, certo che tornerò.