Non potevamo nel nostro Italian Wine Tour, che ha visto coinvolte anche alcune cooperative, tralasciare una realtà come la CVA Canicattì. È tra quelle cooperative del vino italiane, che per fortuna sono in numero crescente, che è riuscita a dimostrare a quali livelli qualitativi si può arrivare anche all’interno di questa tipologia di impresa.

Ed è riuscita a farlo attraverso un percorso fatto di competenza e oculatezza gestionale, senza passi più lunghi della gamba ma con quella saggezza e lungimiranza che dovrebbe contraddistinguere ogni azione imprenditoriale.

Una modalità di agire che rispecchia fortemente il “condottiero” di CVA Canicattì, il presidente Giovanni Greco.

Conosco Giovanni da molti anni ormai e di lui ho sempre apprezzato la lucidità, la visione chiara degli scenari, delle opportunità ma anche dei limiti della sua realtà.

Grazie a questa capacità è riuscito a far crescere la sua cooperativa con regolarità, senza pericolosi scossoni, senza investimenti fatti alla cieca solo a titolo dimostrativo.

Giovanni ci ha accolti in Cantina assieme al fedelissimo Salvatore Messina, altra figura storica dell’azienda che definire responsabile commerciale potrebbe apparire riduttivo.

“Vedi Fabio – mi spiega subito Giovanni facendomi entrare nella palazzina degli uffici – il nostro quartier generale non è certo una reggia ma abbiamo voluto prima dare priorità alla qualificazione della nostra produzione perché è quella, prima di tutto, che garantisce la remuneratività ai nostri soci, la sostenibilità economica della nostra cooperativa”.

Parole sante Giovanni, quante volte abbiamo visto costruire castelli sulle spalle dei soci, senza che questo potesse portare vantaggi allo sviluppo economico dell’azienda.

Non c’è sfarzo alla CVA Canicattì ma quel sano pragmatismo e la consapevolezza che proseguendo con i passi giusti arriverà anche il tempo per avere una struttura di accoglienza coerente con il valore dei vini della cantina che accresce di anno in anno.

Me ne resi conto ormai una quindicina di anni fa, degustando alcuni vini di CVA, che ci trovavamo di fronte non solo ad una eccellente realtà cooperativa ma anche ad un’azienda capace di produrre vini di qualità superiore a parecchie realtà private.

Una ulteriore testimonianza della straordinaria vocazionalità del territorio vitivinicolo agrigentino che, per quegli strani e incomprensibili destini enologici, è l’unico ancora a non veder riconosciuta una specifica denominazione di origine.

Eppure è da sempre che questa terra vitata che lambisce l’area archeologica più ampia e ricca al mondo, è il forziere vitienologico privilegiato di molte realtà produttive siciliane.

“Chi vuole grande qualità – sottolinea Giovanni – non può non venire nella nostra terra”.

E a proposito dell’agrigentino, CVA ha realizzato in questi ultimi anni uno dei più interessanti progetti di valorizzazione del territorio, avviando un accordo con lo straordinario Parco della Valle dei Templi, che con i suoi 1.300 ettari è il più grande sito archeologico del Mediterraneo.

Giovanni ci ha portati dentro il Parco in una mattinata di fine settembre che difficilmente potremo dimenticare. Davanti al Tempio della Concordia, quello che ha portato Wolfang Goethe a scrivere: ”Mai in tutta la vita ci fu dato godere una così splendida visione di primavera come quella di stamattina al levar del sol…”. Il grande scrittore e poeta tedesco scrisse queste parole nella stessa posizione dove eravamo noi con Giovanni. Come non essere grati e felici di tale privilegio.

Con il progetto Diodoros la Cantina ha stipulato una convenzione con l’ente Parco della Valle dei Templi capace di unire in maniera straordinaria vino e archeologia. Ma non in maniera statica, esclusivamente comunicativa, ma con un alto valore operativo per dare sostenibilità e supporto ad una fonte economica fondamentale per il territorio agrigentino.

Diodoros, pertanto, è un blend tra Nero d’Avola (90%) e Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, che nasce dai suggestivi vigneti posti sotto il tempio di Giunone, un terroir non solo fantastico dal punto di vista archeologico ma anche di grande vocazionalità vitivinicola.

CVA Canicattì ormai da dieci anni garantisce la conduzione agronomica del vigneto e la relativa vinificazione delle uve.

Seimila bottiglie preziose sia per sostenere il Parco sia per testimoniare ulteriormente il valore qualitativo della produzione di CVA Canicattì.

“Il Parco della Valle dei Templi – racconta Giovanni – grazie anche a recenti nuovi accordi, diventerà sempre di più un luogo dove raccontarci e comunicare non solo i nostri valori ma anche quelli di questa terra capace di esprimere un patrimonio agroalimentare che ha pochi eguali”.

Affermazione che ha trovato conferma anche dalle parole di Roberto Sciarratta, direttore del Parco della Valle dei Templi che vede proprio nella valorizzazione dell’agroalimentare agrigentino, a partire dal vino prodotto con la collaborazione di CVA Canicattì, una via privilegiata non solo per la sostenibilità economica del Parco ma anche e soprattutto per la comunicazione di un territorio che vede in questo binomio il principale fattore identitario.

Salutiamo Giovanni e riattraversiamo Canicattì, ci viene da ridere pensando che c’è stato un tempo in cui questa cittadina veniva considerata nel noto proverbio il “luogo remoto del nulla”.

Una frase fatta, un luogo comune che per fortuna si è perso nella notte dei tempi anche grazie a realtà come CVA che con orgoglio portano il nome di Canicattì dove coraggio, operosità e lungimiranza sono di casa da sempre.