Rincorrevo Elena Fucci da numerosi anni. La seguivo, però, a distanza da quando, qualcuno direbbe con un “coraggio da leone”, proprio vent’anni fa diede inizio ad una delle storie più interessanti della nostra vitivinicoltura.

Elena Fucci, infatti, dimostra in maniera straordinaria che si può arrivare alla produzione di eccellenze vitivinicole anche senza avere generazioni alle spalle ma attraverso due requisiti fondamentali: la vocazionalità di un territorio e l’investimento in ricerca.

Due fattori che hanno portato Elena a diventare non solo un punto di riferimento in uno dei territori del vino più vocati e affascinanti del nostro Paese, il Vulture in Basilicata, ma anche un modello di piccola impresa vitivinicola italiana.

Quando Gino il camper scende lungo la ripida discesa che porta alla cantina di Elena Fucci lei è lì a filmarci con il suo smartphone, felice del nostro arrivo.

Come scendo dal camper sono già a mio agio e il confronto con Elena è subito ricco di spunti, come ci conoscessimo da una vita.

Scopro che l’avvio della sua avventura vitivinicola nel piccolo borgo di Barile (che già nel nome testimonia la sua storia vitivinicola) ha inizio proprio vent’anni fa, nel 2000. Ma scopro anche subito che il termine avventura non si addice minimamente ad Elena che è sicuramente un vulcano nel carattere, nelle relazioni, nel modo di comunicare passione ed entusiasmo, ma è estremamente razionale e pianificatrice sul versante professionale.

Il suo successo, pertanto, non ha nulla di casuale. L’unica cosa di casuale è forse l’ingresso di Elena nel mondo del vino. È stato, infatti, il rischio di perdere anche la casa vendendo la vigna ereditata dal nonno. “Avevamo preso la decisione di vendere i 6 ettari di vigneto che mio nonno Generoso aveva acquistato negli anni 60 – mi spiega Elena –  perché né i miei genitori, entrambi insegnanti, né noi figli eravamo in quel momento orientati ad occuparcene. Poi però ci dissero che vendendo la vigna l’acquirente voleva anche la casa e lì mi si accese una lampadina”.

Una lampadina che ha decisamente illuminato i pensieri di Elena portandola a dirottare i suoi studi da discipline umanistiche a quelle scientifiche dedicate a viticoltura ed enologia e a fare di quella casa non solo un’abitazione ma una delle cantine più evolute ed interessanti anche sul versante della bioedilizia.

“Fu veramente un’illuminazione  – sottolinea Elena con forza – che mi portò a comprendere che da quei vigneti, i più vecchi del Vulture (tra i 55 e i 70 anni!) sarebbe stato possibile qualcosa di unico, di speciale. L’orgoglio fece il resto, volevo che fosse una di noi ad investire in una risorsa che aveva consentito a tre generazioni della mia famiglia di vivere nel Vulture”.

Ed è in questa terra allora che Elena decide di costruire la sua idea di vitivinicoltura.

Un piccolo gioiello incastonato ai piedi del Vulture, un vulcano ancora giovane, geologicamente parlando, se si considera che l’ultima eruzione è datata “solo” 130.000 anni fa.

C’è una grande similitudine, pensandoci, tra il Vulture ed Elena Fucci, giovani ambedue ma già capaci di conferire a ciò che fanno una straordinaria personalità.

Ed è indubbio che la ricerca chiave realizzata da Elena sia stata quella di capire in profondità la vocazionalità del suo piccolo terroir e di cercare di esaltarlo al meglio in un unico vino, senza nessun’altra dispersione.

Da questa intuizione è nato Titolo, l’Aglianico del Vulture che oggi è tra i più premiati e riconosciuti al mondo.

Già nella scelta del nome si nascondeva l’ambizione di Elena che non proveniva però da pericolose illusione ma da una crescente consapevolezza che quei sei ettari di vigna racchiudevano realmente un tesoro. Ma come tutti i tesori importanti non si trovano facilmente in superficie e ci si deve dotare di pazienza, dedizione, capacità di sacrificio e, soprattutto, non considerarsi mai arrivati.

Così è Elena Fucci, soddisfatta ma mai appagata del tutto e questo la porta ad alzare costantemente l’asticella affinché il suo Titolo dia sempre il meglio di sé.

Il commento al suo vino che maggiormente la soddisfa, che considera anche il più vicino alla sua filosofia vitienologica è quello che gli ha detto il bravo Daniele Cernilli: “È un’interpretazione dell’Aglianico del Vulture moderna ma non modernista”.

“Mi ci ritrovo completamente in questo giudizio – spiega Elena – perché quello che cerco attraverso il mio lavoro in vigna e in cantina è di comprendere fino in fondo le caratteristiche dell’Aglianico in termini di maturazione e di affinamento cercando però di non tradire mai la sua identità più autentica”.

Degustiamo un po’ di annate del suo straordinario Titolo e le parole di Elena trovano meravigliosamente conferma.

Qui sta il segreto. Raccontare la verità, solo e sempre quella,  che quando trova conferma nei fatti diventa di una forza straordinaria, come quella di un vulcano che in un piccolo angolo d’Italia continua a far sentire la sua voce attraverso una piccola grande donna.