Nel bel volume “La Cantina sociale Gotto d’oro di Marino”, scritto da Ugo Onorati, Vittorio Rufo e Luigi Tonet e pubblicato in occasione del 50° della nota cooperativa laziale, nella prefazione di Luciano Bernabei (presidente della cantina tra gli anni 80 e 90) è scritto: “Nel primo dopoguerra, in un’Italia semidistrutta l’agricoltura era in grave crisi. La viticoltura laziale, in particolare, aveva subito gravissimi danni tanto da dover essere reimpiantata nella quasi totalità. A tutto questo si aggiungevano le numerose difficoltà per la vinificazione presso le cantine esistenti, a causa della distruzione di buona parte delle attrezzature tecnologiche e delle opere murarie. I viticoltori di Marino erano riusciti, con enormi sacrifici, a rinnovare gli impianti dei vigneti e a riavviare la produzione, ma non a riorganizzare la vinificazione e la commercializzazione. Nei primi mesi del ’45 alcuni produttori di Marino pensarono ad un’organizzazione che, su base cooperativistica, potesse risolvere questi problemi e il 10 luglio dello stesso anno riuscirono a costituire un consorzio denominato “Cantina sociale cooperativa di Marino”, con sede in un semi devastato stabilimento situato in Ciampino, allora frazione del comune di Marino. Il primo consiglio di amministrazione, dopo la fase organizzativa, riuscì a dare avvio alla produzione e alla vendita dell’imbottigliato nelle principali città italiane”.

Ho voluto aprire questo articolo che racconto della tappa del nostro Italian Wine Tour presso la Cantina Gotto d’oro per far comprendere concretamente il ruolo chiave che ha avuto la cooperazione vitivinicola nel nostro Paese.

Si dice che un Paese ha un futuro se ha buona memoria del suo passato e questo, a mio parere, vale anche per il settore vitivinicolo.

Oggi, ci racconta Luigi Caporicci, presidente della Cantina dal 2003, i soci sono circa 200 per una superficie vitata vicino ai 1.000 ettari e una produzione attorno agli 8 milioni di bottiglie l’anno.

Sicuramente Gotto d’oro rappresenta un nome storico della vitivinicoltura laziale, ed in particolare dei Colli Romani, e sfido chiunque a non aver acquistato o bevuto almeno una volta nella vita il popolare bottiglione da 1,5 litri del Frascati doc, con lo storico logo del carretto delle uve che ha rappresentato anche uno dei primi simboli della pubblicità del vino negli anni 60 e 70.

Anni, quelli del boom economico in cui la Gotto d’oro ha avuto un ruolo chiave anche nella diffusione dell’immagine del vino italiano nel mondo. Negli anni 60, infatti, il bianco Frascati Gotto d’oro varca i confini e, insieme al rosso Chianti, detta i primi passi all’internazionalizzazione dei vini italiani, partecipando attivamente all’affermazione del “Made in Italy”.

Ho letto tutto d’un fiato la storia dei primi 50 anni della nota Cantina di Marino e devo ammettere che è stata una lettura preziosa che mi ha fatto capire non solo il ruolo della cooperazione ma anche le tante difficoltà che le nostre aziende vitivinicole hanno dovuto affrontare dal dopoguerra ad oggi.

Una lettura utile in una fase tra le più difficili della nostra storia moderna e che mi ha fatto comprendere ulteriormente che le difficoltà ci sono sempre state e che il loro superamento ha rappresentato anche una straordinaria opportunità di crescita per il nostro settore vitivinicolo.

Anche nell’incontro con Gotto d’oro penso a questo Lazio del vino che alterna tutt’oggi momenti di giusta notorietà e reputazione ad altri nei quali sembra ricadere nell’oblio.

E allora non si può non concordare con le parole del presidente Caporicci che esorta ad un maggiore gioco di squadra all’interno del sistema vitivinicolo laziale.

È vero, tante volte si sentono queste parole, queste esortazioni che troppo spesso non trovano seguito, ma mai come oggi le sentiamo necessarie, indispensabili e quindi proviamo ad ascoltarle con un rinnovato ottimismo.

A Gotto d’ora intanto si stanno impegnando ulteriormente nella qualificazione dei loro vini e, degustando la loro linea Vinea Domini, con il recente Friccicore (un nome e una garanzia) ottenuto da Malvasia del Lazio al 100% e con il Roma doc Bianco, un blend tra Malvasia Puntinata e Bombino, penso ancora una volta alla vocazionalità di questa terra che, grazie anche alla sua natura vulcanica, regala veramente vini di ottima stoffa ed eleganza.

E poi, fatemi terminare, con un’osservazione sul tema Roma doc. Poter disporre di un nome così prestigioso, popolare, noto in ogni angolo del pianeta, deve per forza rappresentare un ulteriore valore per questa terra.

Noi ci crediamo e a Gotto d’oro pure.