Ero già stato un paio di volte a Re Manfredi ma ciononostante l’emozione non è stata inferiore alle altre. Ammetto che nutro un particolare amore per la Basilicata, anzi per la Lucania nel suo complesso e in particolare per il Vulture, un vulcano che tace da soli 130.000 anni, pochissimo dal punto di vista geologico.
Un vulcano che già dal nome fa capire la sua personalità, Vulture, infatti, deriva dal nome latino avvoltoio e in effetti sembra un grande uccello che domina dai suoi oltre 1.300 m di altezza tutto il vasto territorio circostante. Ma la sua influenza non è solo di tipo “paesaggistico” ma anche geologico, tanto che l’influenza delle sue varie eruzioni si è stratificata nei suoli di questa terra anche a decine e decine di chilometri dal cratere e dai sui versanti.
Per questa ragione anche se Re Manfredi, sita nel territorio di Venosa, la città natale del grande poeta latino Orazio (65 a.C.), appare lontana dal cono vulcanico, in realtà subisce (positivamente) la potente influenza del Vulture.
A farci da ambasciatore di questa azienda di circa 120 ettari, di proprietà della più grande realtà vitivinicola italiana, il Gruppo Italiano Vini, Paolo Montrone, che possiamo considerare una vera e propria “istituzione” dei vini del Vulture.
Un privilegio poter ascoltare i racconti di Paolo che da sempre respira l’aria del Vulture ed è stato in grado di scoprire in profondità tutte le potenzialità di questo territorio del vino così unico e peculiare.
Viene facile capire in questo lembo di Basilicata come Federico II di Svezia avesse individuato in questo territorio un luogo ideale, speciale e non a caso sono ancora numerosi i castelli che lui fece costruire, alcuni dei quali ancora stupendamente conservati.
Ma è proprio qui che Re Manfredi, figlio di Federico II, amava ritirarsi e la cantina è dedicata proprio a lui e, in particolare, a quello che si può considerare il re enologico di questa terra, l’Aglianico del Vulture.
Per me un grande ambasciatore di questo vino è stato proprio il Serpara, il cru realizzato grazie a 6 straordinari ettari di Aglianico (di cui 3 con età superiore a 40 anni) siti in quella che viene considerata la culla iconica di questo vitigno, Maschito, a 550 m slm.
Serpara rientra sicuramente in quel ristretto olimpo dell’eccellenza che è stato in grado di testimoniare al mondo i vertici qualitativi raggiungibili da un vitigno come l’Aglianico nella sua culla d’elezione, il Vulture.
Ma Re Manfredi rappresenta anche un esempio straordinario di come un grande gruppo enologico possa valorizzare territori vitivinicoli italiani di importanza strategica come appunto, in questo caso, il Vulture.
Non ci meraviglia, pertanto, che l’attuale management del Gruppo Italiano Vini, abbia deciso di intraprendere nuovi investimenti per questa azienda, allargando sia la parte di cantina e aggiungendo una nuova area anche per l’ospitalità.
Investimenti molto importanti, a mio parere, non solo per il Gruppo ma anche per la ricaduta che essi avranno in tutta la denominazione che, nonostante l’indubbia crescita di quest’ultimo ventennio, necessita ancora di ulteriori sforzi per portarla a capitalizzare tutte le sue potenzialità.
Non penso, infatti, di esagerare considerando il territorio del Vulture uno dei terroir non solo tra i più vocati per la vitivinicoltura di qualità ma anche capace di dare vini di straordinaria modernità.
Le degustazioni a Re Manfredi hanno confermato totalmente questo pensiero e anzi sono ulteriormente convinto che oggi sia fondamentale fare un passo avanti per rendere ancor più forte e autorevole la reputazione di questa terra del vino nel mondo.
La ricetta di Paolo Montrone, su questo fronte, è semplice e complessa al tempo stesso: “Aumentare il gioco di squadra tra i produttori del Vulture”.
E in questa direzione sono convinto che proprio Re Manfredi possa giocare un ruolo molto importante di traino, visto i mezzi e la forza del brand, affinché il sistema Vulture si rafforzi ulteriormente.
Non posso andarmene però da Re Manfredi senza degustare un vino che a mio parere ha fatto capire al mondo che sulle pendici di questo vulcano è possibile ottenere anche vini bianchi “insospettabili”. Il Re Manfredi bianco, ottenuto dal blend “nordico” Müller e Traminer Aromatico, lo ammetto, rappresenta uno dei miei vini bianchi preferiti del nostro Mezzogiorno.
Una testimonianza ulteriore della vocazionalità unica di questa terra vulcanica.
Re Manfredi ci regala prima di partire un pranzo con le migliori tipicità lucane (dai salumi ai formaggi ma anche con uno straordinario agnello) e questo dimostra come questa terra sia solo apparentemente aspra ma celi una generosità straordinaria.
Gino, il camper, ci garantisce che ci riporterà qui molto presto.