Mio papà, che purtroppo oggi non c’è più, mi diceva spesso: “Quando hai dei dubbi sulle scelte da fare prendi sempre la strada più difficile”.
Nel nostro Viaggio nell’Italia del vino, in questa fase così complessa, ho sicuramente seguito il consiglio di papà.
Lo ammetto non è stato facile prendere questa decisione. Mettersi in moto con il nostro vecchio camper Gino (rigorosamente senza aria condizionata), imbarcare anche i miei due figli illudendoli che sarebbe stata una vacanza, avere davanti almeno seimila chilometri da percorrere in lungo e in largo per il nostro stivale e incontrare una cinquantina di aziende non è sicuramente una passeggiata.
Ma non smetterò mai di ringraziare papà perché anche questa volta il suo consiglio è stato prezioso.
Il viaggio non è ancora terminato e mentre scrivo stiamo passando dalla Toscana alla Liguria. Ci aspetta ancora una settimana di tour con regioni del vino importanti da incontrare come Piemonte, Valle d’Aosta e Lombardia, ma il bilancio è straordinariamente positivo.
Il bilancio finale, ovviamente, lo farò alla fine del viaggio ma adesso mi piace soffermarmi su un tema chiave per tutti coloro che a vari livelli hanno la responsabilità di comunicare il vino italiano.
Il tema lo pongo sotto forma di domanda: “Ma quanto conosciamo realmente il vino italiano? I suoi territori di produzione, le sue aziende?”.
Sono coinvolto nel mondo del vino da più di trent’anni e anche questo viaggio mi ha fatto comprendere quanto io sia ancora lontano dal raggiungere la sufficienza.
Sicuramente, per fortuna, vi sono persone molto più competenti di me, ma temo al tempo stesso che, soprattutto quest’ultimo decennio ci abbia fatto arretrare, in particolare noi cosiddetti “cronisti del vino” che un tempo passavamo giornate dentro le aziende e adesso le vediamo quasi esclusivamente durante qualche evento, talvolta solo dieci minuti a Vinitaly.
Questa superficialità, dettata spesso dall’esigenza del rincorrere le emergenze, dall’assenza anche di risorse economiche da parte di molti editori (si fa per dire) dell’informazione enogastronomica, ma anche dall’idea che scrivere di vino, comunicare il vino sia una cosa semplice, che possono fare tutti, oggi a me appare come un fattore di estrema gravità.
Una grave lacuna che purtroppo non è da ascrivere solo a chi scrive di vino ma in maniera trasversale a tanti, forse troppi, addetti ai lavori del mondo del vino.
Non abbiamo scoperto questo limite solo durante questo viaggio ma questa esperienza mi ha fatto ulteriormente capire la gravità della situazione.
Ho visto aziende, attraversato territori, osservato vigneti, appreso di esperienze straordinarie, coraggiose. Mi sono immerso in paesaggi del vino fantastici ma ho anche visto paesaggi rurali, naturali dove il vigneto non era l’unico protagonista. Ho degustato vini ottenuti con modalità convenzionali ed altri attraverso metodi innovativi o attraverso il recupero di tecniche antiche.
Ma di tutto quello che ho visto o appreso c’è poca traccia nei siti delle aziende, nelle loro brochure ma anche nei tanti contenuti giornalistici, o quasi, che si trovano nel mare del web.
È una sensazione strana, è come se la gran parte della comunicazione del vino si sia “omologata” in pochi titoli, in gran parte simili tra loro.
All’inizio del nostro viaggio, molto presuntuosamente, avevo evocato il noto Viaggio nell’Italia del vino del grande Mario Soldati. Oggi, ad una settimana dalla fine del nostro tour (ci sarà in realtà un’appendice in settembre in Sicilia e Sardegna), ribadisco che mai come adesso il nostro mondo del vino avrebbe bisogno di scrittori come Soldati, di giornalisti come Gianni Brera, di critici enogastronomici e filosofi come Luigi Veronelli capaci di andare oltre gli stereotipi, luoghi comuni del vino.
Ma sarebbe anche fondamentale che tutti coloro che hanno un ruolo sia sul fronte dell’informazione che comunicazione del vino ricominciassero a viaggiare nelle terre vitivinicole del nostro Paese.
È un rimprovero che faccio a partire dal sottoscritto che in questi ultimi anni è stato tantissimo sui mercati internazionali trascurando la visita alle aziende, il confronto con i produttori all’interno dei loro territori.
Odio apparire un nostalgico ma non nego che rimpiango il tempo in cui passavo anche due o tre giorni all’interno di un’azienda.
Era il tempo in cui si potevano addirittura creare relazioni di amicizia tra produttori e chi scriveva di vino.
Sembra un tempo lontanissimo eppure mai come oggi, alla luce di una fase storica difficilissima, sostengo sia fondamentale recuperare questa relazione “intima” con i produttori, con le terre del vino.
Dobbiamo incamerare molte più informazioni, dobbiamo studiare molto di più, andare alla ricerca dell’identità più profonda dei nostri terroir vitivinicoli.
Le esperienze aziendali sono un patrimonio straordinario che prima di essere raccontato deve essere conosciuto.
I social media ci possono aiutare molto in tal senso ma non devono rappresentare una scorciatoia per dire poche cose, in poco tempo, con poche informazioni a disposizione.
La superficialità in una fase difficile come questa rischia veramente di essere l’ennesima mannaia sopra la testa della credibilità del nostro sistema.
Continuiamo a predicare l’importanza della comunicazione ma questa è utile solo se è seria, frutto di conoscenza vera e non di approssimazioni.
In Italia ci imbattiamo ancora oggi in aziende senza un sito o, se presente, con informazioni scarse, scritte male, assolutamente insufficienti.
Se questo è il biglietto da visita provate ad immaginare quale può essere l’effetto comunicativo.
Io il mea culpa non solo lo faccio ma prometto che il mio, il viaggio nel vino italiano di Wine Meridian, non terminerà sicuramente il prossimo 7 agosto.