La seconda ed ultima giornata di wine2wine di Veronafiere si è chiusa con un seminario di William Predhomme, sommelier professionista ed imprenditore canadese, che ha operato per molti anni come buyer nella ristorazione ed è attualmente proprietario di un’azienda di marketing strategico.
Grazie alla sua posizione a stretto contatto con il mercato del vino e con il mondo dei monopoli canadesi sulle bevande alcoliche, nella conferenza ha rivelato le caratteristiche salienti degli stessi.
Il mercato del vino canadese è uno spazio estremamente solido. Infatti, da tempo risulta stabile, con una costante crescita annua di un paio di punti percentuali. La sua forza si evince anche dall’alto livello di educazione enoica raggiunto dalla popolazione.
L’import ne rappresenta una branca fondamentale, poiché la produzione interna non è neanche lontanamente sufficiente a soddisfare la domanda: è il decimo maggior importatore al mondo. Ciò si traduce in un giro di affari di 2,5 miliardi di dollari, con l’Italia in vetta alla classifica dal punto di vista dei volumi.
Oltre all’Italia, gli altri Stati da cui proviene il vino sono: Francia, Stati Uniti, Australia e Spagna.
Le potenzialità del mercato non sono messe in dubbio, ma prima di poterle sfruttare è necessario chiarire il giusto modo con cui approcciarsi all’export. William ha riassunto le peculiarità delle principali province canadesi: Ontario, Québec, Alberta e British Columbia.
L’importazione di vino in Canada è governata da monopoli statali che detengono, tranne in alcuni casi, anche la distribuzione e la vendita:
- Ontario: LCBO, Liquor Control Board of Ontario;
- Québec: SAQ, Société des Alcools du Quèbec;
- Alberta: AGLC, Alberta Gaming and Liquor Commission;
- British Columbia: BC LDB, British Columbia Liquor Distribution Branch.
Questi enti governativi fissano delle quantità massime di prodotto che ogni azienda può inviare in Canada. Acquistano il vino dalle imprese vitivinicole e lo vendono secondo due modalità: Retail Store System o Private Ordering Program. Il primo è una rete di negozi di proprietà dell’ente monopolistico. Il secondo è un sistema per cui piccole quantità di vino vengono acquistate dall’agenzia monopolistica e vendute direttamente al richiedente, che deve essere un’azienda del settore (ristorante, bar, associazione di sommelier).
Il contatto tra l’azienda e l’ente monopolistico deve essere mediato da un’agenzia specializzata, che viene scelta dall’impresa vitivinicola. La selezione deve essere accurata, in base all’esperienza ed al portafoglio prodotti, per evitare di incorrere in grossi costi per cambiarla dopo l’inizio della collaborazione.
In Ontario e Québec il monopolio riguarda tutte e tre le fasi di importazione, distribuzione e vendita, sia con metodo “Retail Store System” e “Private Ordering Program”.
In Alberta, l’AGLC detiene il monopolio solamente sull’importazione delle bevande alcoliche, perché la distribuzione è stata liberalizzata nel 1993, quindi chi spedisce il vino può lavorare direttamente con negozi, grocery, ristoranti, ecc. Inoltre non ci sono limiti sulle quantità importabili e la cantina si deve assumere il rischio che la propria merce rimanga invenduta, poiché il retail non è assicurato dalla distribuzione monopolistica e bisogna affidarsi ad un’agenzia con delle ottime competenze nella vendita.
In British Columbia, seguendo la strada dell’Alberta, recentemente si è iniziato a privatizzare il retail.
Una volta definite tutte le pratiche burocratiche per la vendita del vino, l’impresa ha la libertà di gestire le proprie operazioni di marketing, nelle quali può essere assistita dal consorzio della propria zona vitivinicola o dall’agenzia mediatrice. Uno strumento cardine è la partecipazione a dei concorsi, perché i consumatori canadesi basano molto le scelte dei vini sulla base dei punteggi ottenuti dagli stessi.
Infine, la valutazione da fare al momento della scelta del prezzo è differente rispetto ai prezzi nei mercati limitrofi, come quello USA, perché la tassazione in Canada è molto più alta.
Quindi, è necessario osservare attentamente i prezzi medi dei prodotti simili e qualora il proprio, aggiunte le imposte, risulti più alto, questa differenza deve essere giustificata in termini di valore percepito dal consumatore.