Come intende la crisi pandemica un colosso del vino che quota oltre 4 miliardi di euro di fatturato, dà lavoro a 6.500 dipendenti e rappresenta la più grande azienda privata del mondo del vino?
Se vinciamo la tentazione di pensare che le grandi dimensioni siano un parafulmine contro le crisi, e consideriamo l’idea che un errore, a certe quote, possa costare molto caro, siamo nel mood giusto per comprendere perché, per E. & J. Gallo Winery, sede centrale a Modesto, California, Stati Uniti, sia così importante guardare, oggi, il bicchiere mezzo pieno piuttosto che indulgere al pessimismo.
A raccontarlo, al pubblico di Wine2Wine, è proprio Stephanie Gallo, Chief Market Officer del gruppo, che spiega come l’ottimismo sia nelle corde di Gallo fin dalla fondazione, che risale al 1933, in odore, quindi, di grande depressione negli Stati Uniti. I giovanissimi Ernest e Julio Gallo, 47 anni in due, scelsero l’ottimismo già allora, e acquistarono le prime attrezzature con un prestito.
Da allora, The Gallo Creed, vale a dire il credo che ha sempre guidato le scelte di questa importante famiglia del vino, è stato sempre ispirato da valori quali integrità, impegno, lavoro di squadra, rispetto, umiltà e, soprattutto, innovazione. Questa è la carta che oggi Gallo decide di giocare, davanti ad alcuni fenomeni incontrovertibili prodotti dalla crisi.
Nuove generazioni di consumatori si stanno affacciando sul mercato durante il Covid, e lo stanno facendo con modalità nuove, portando con sé nuovi gusti e nuove attese.
Oggi si beve prevalentemente in casa e si acquista massivamente online. Il 53% degli shopper online non aveva mai utilizzato il canale e-commerce. E un terzo di consumatori, che ha iniziato a comprare online durante la pandemia, continuerà ad acquistare online anche in futuro. I neofiti del mercato online vanno catturati, blanditi, conquistati. Per fare questo, occorre utilizzare le leve più efficaci, che sono diverse a seconda del profilo personale, della età, del mercato.
Come poteva immaginare il gigante Gallo, anche solo un paio di anni fa, che per conquistare Generazione Z e Millennials, avrebbe promosso il proprio vino, durante la quarantena, con Dj set virtuali, con sessioni di Questions and Answers sul vino, con etichette che si animano di realtà aumentata con la performance in 3D dei Black Eyed Peas in cui campeggia fiera una lattina da 375 ml? O che avrebbe proposto format di cucina e vino “dal vivo” da gustare in diretta con la sola “mediazione” di un monitor?
Il vino, d’altro canto, è, anzi dovrebbe essere, memoria dei momenti spesi bene, non soltanto quelli celebrativi, oggi diremmo di assembramento, ma anche quelli quotidiani vissuti nell’intimità del nucleo familiare. Fare in modo che il vino non manchi a questo appuntamento è compito dell’industry, che deve portare il vino a chi serve, dove serve, quando serve e col package che serve.
Guidati da questa certezza, Stephanie ci invita, con le parole di Eloise Ristad, a prenderci il permesso di fallire, se, allo stesso tempo, possiamo anche rischiare di eccellere.