Come se non bastassero la siccità, gli incendi boschivi, i danni alle vendite dovuti alla pandemia di coronavirus, la guerra diplomatica e tariffaria con la Cina, gli esportatori di vino australiani stanno per essere investiti da un ulteriore cataclisma: Brexit.
Per gli esportatori australiani il commercio con il continente europeo è stato messo a repentaglio nel giro di poche settimane e, qualunque cosa facciano, non possono più evitarlo.
Come riporta The Drinks Business, dal primo gennaio 2021, non saranno solo gli australiani a dover affrontare un incubo. Sarà colpito chiunque spedisca vino sfuso per l’imbottigliamento nel Regno Unito e poi lo voglia esportare nuovamente nel territorio dell’Unione Europea.
Anche gli americani si trovano in questa situazione, ma gli australiani devono affrontare un problema più grande dato il volume, il valore e le dimensioni del loro commercio di vino con il Regno Unito.
Nel loro ultimo anno finanziario i produttori australiani hanno venduto vino per un valore di 212 milioni di sterline al Regno Unito, il loro più grande mercato di esportazione, e altri 117 milioni di sterline agli altri 27 Stati membri dell’UE. Ma l’80% di quel vino viene spedito sfuso nel Regno Unito, dove viene imbottigliato, etichettato e poi distribuito nel Regno Unito e nel continente.
Quando l’accordo di transizione tra Regno Unito ed Unione Europea terminerà il 31 dicembre, i produttori australiani non saranno in grado di rispettare le norme UE su etichettatura e documenti di spedizione, anche se il governo di Boris Johnson stipulerà un accordo commerciale dell’ultimo minuto con Bruxelles. Il tempo è già scaduto.
Attualmente il vino sfuso spedito e poi imbottigliato nel Regno Unito può avere la stessa etichetta sia per il mercato britannico che per quello UE.
Ma dal 1° gennaio 2021 la legge dell’UE stabilisce che il vino importato nei 27 Stati membri deve riportare sulle etichette il nome di un importatore UE.
Non verrà accettata una “doppia” etichettatura, che mostri anche un importatore britannico.
La situazione è speculare per i produttori UE che esportano nel Regno Unito. Le loro etichette dovranno riportare il nome e l’indirizzo di un importatore britannico, anche se si prevede che Westminster concederà un periodo di grazia per l’adeguamento, anche se è improbabile che questo includa i vini spediti in Irlanda del Nord. E non vi è alcuna indicazione di quanto tempo potrebbe durare tale deroga provvisoria.
I capi di governo dell’UE a 27 si sono riuniti per considerare la loro posizione negoziale finale con il Regno Unito, ma anche se entro la fine di questo mese venisse raggiunto un accordo commerciale, sarà comunque troppo tardi per evitare il problema.
I produttori australiani e gli altri produttori il cui vino verrà imbottigliato nel Regno Unito, dovranno affrontare nuovi costi per allinearsi alle direttive di conformità e alla burocrazia extra. Inoltre non potranno cambiare rapidamente destinazione alle spedizioni in bottiglia tra Regno Unito ed Europa, in base alle condizioni di mercato e alla domanda.
C’è persino incertezza sul fatto che il vino di un paese terzo imbottigliato nel Regno Unito possa attraversare la Manica a partire dal 1° gennaio. Anche se l’UE concede un improbabile periodo di grazia per la documentazione e l’etichettatura, è probabile che le spedizioni vengano trattenute nei porti.
Bruxelles è fermamente decisa a non accettare una soluzione temporanea, ad esempio l’apposizione di etichette per indicare il nome di un distributore britannico e di un altro europeo. E anche una tale soluzione a breve termine ridurrebbe la flessibilità per passare rapidamente da un mercato all’altro.
I vini che non sono conformi alle normative UE potrebbero essere richiamati per una nuova etichettatura e questo comporterebbe costi aggiuntivi in un momento in cui i produttori lamentano margini incredibilmente sottili.
In genere possono essere necessari fino a due anni per cambiare l’etichettatura permanente ad una linea ampiamente distribuita. Questa operazione è pressoché impossibile in meno di tre mesi.
Oltre a questo, arriverà un ulteriore aggravio di burocrazia e costi di conformità. Il formulario VI-1 dell’UE, che certifica che il vino è stato prodotto secondo standard specifici ed è sicuro da bere, avrà un equivalente britannico.
Nessuno sa ancora quali informazioni saranno necessarie su di esso e ci sono notevoli dubbi su quando sarà pronto per la distribuzione ai produttori e agli spedizionieri. Affrettare la produzione di nuove etichette per il mercato britannico senza essere certi che siano conformi a norme non ancora specificate sarebbe un grosso rischio.
E anche se il team di Boris Johnson tirerà fuori dal cilindro un accordo commerciale con Bruxelles, le condizioni per il trasbordo di vino attraverso la Manica non saranno certamente la priorità ma si troveranno da qualche parte in una lunghissima fila di procedure da gestire e sistemare.