Le storie danno forma alla mente umana. Una buona storia può lasciare nella mente dell’uomo un segno indelebile ed essere ricordata per la vita. Non c’è nulla di più antico e più potente della simbologia racchiusa nei racconti e nelle storie, proprio per questo l’arte dello storytelling ha attirato l’attenzione del mondo del business e del marketing.
Ma cosa rende davvero una storia, una buona storia? Cosa la rende memorabile?
Secondo le teorie di narratologia più accreditate ciò che conta davvero è la struttura: tutte le buone storie, quelle davvero efficaci, hanno la stessa struttura.
Una buona strategia di storytelling passa dalla creazione di un racconto coerente, un format narrativo in grado di catturare l’attenzione talmente bene da mandare in trance chi legge, guarda o ascolta una storia.

Una struttura utile per costruire un racconto che funziona è la piramide di Freytag.
La storia secondo lo studioso Freytag dovrebbe essere divisa in 5 parti: inizia con una exposition, dove viene introdotto il protagonista e la sua storia, poi il pathos si alza con l’evolversi dell’azione fino ad un punto di climax, momento culmine di conflitto, e poi l’azione subisce un decrescendo in cui il conflitto si risolve fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio e normalità.
Il segreto delle storie di successo non sta solo nella struttura del racconto, ma anche nella capacità di riuscire a coinvolgere emotivamente le persone.
Se le persone non vengono spinte a provare delle emozioni, non ricorderanno la storia.

Ma quando si tratta di storie di vino? Il corporate storytelling nel mondo del vino è piuttosto recente, ma questo ambito si sta rivelando sempre più adatto al racconto di storie, perché carico di simbologia, storia e tradizione e soprattutto in grado di suscitare un coinvolgimento multisensoriale.
Arrivati a questo punto però una certezza c’è: la vecchia maniera di raccontare il vino e i suoi protagonisti non funziona più. È venuto infatti il momento di trovare una nuova strada per coinvolgere le persone e affinché ricordino il nostro brand e la nostra storia.
Dunque in che direzione andare?

Un indizio prezioso sulla strada dello storytelling è questo: le persone ricordano le persone o gli oggetti che hanno un’anima.
Un esempio arriva da una case history neozelandese. L’azienda neozelandese Babich ha presentato in occasione dei suoi 100 anni di storia il progetto “100 years, 100 stories” che reca il sottotitolo “After 100 years of making wine, we have a few stories to share” (Dopo 100 anni di storia, abbiamo un po’ di storie da condividere).
Così con una strategia prima di tutto visuale, le 100 storie sono rappresentate da un oggetto ciascuna raffigurato come nel gioco delle tessere. Curiosando tra gli oggetti abbiamo scelto il numero 1: un passaporto croato, recante il nome di Josip Babich, l’uomo che nel 1904 emigrò in Nuova Zelanda alla ricerca di fortuna e che diede origine alla “dinastia di produttori di vino” che oggi compie 100 anni.
Ogni storia ha uno stile coinvolgente ed accattivate e racconta una diversa sfaccettatura delle vicende della famiglia Babich negli ultimi 100 anni.

Contrariamente a quanto si pensa, le persone voglio le storie, non solo i fatti. In che modo un’azienda di vino, e non solo, può raccontare la propria storia? Molti sono i canali possibili ed è possibile una diversificazione del racconto, anche grazie alle nuove tecnologie o all’aiuto delle persone.
Ecco i canali attraverso cui è possibile raccontare una buona storia:
il sito web aziendale
il packaging
i dipendenti ed i collaboratori che diventano primi portavoce del brand
le strategie di marketing e comunicazione
i brand ambassador o gli amici del brand
la comunità social
i consumatori stessi
i media
i critici

I canali sono moltissimi e molto diversi tra loro, e forse sono troppi.
Il consiglio è di non avere fretta di percorrerli tutti subito. Selezionare le piattaforme giuste con cui partire ed intessere il proprio racconto è la migliore delle scelte.