Alcune sere fa abbiamo avuto la fortuna di essere relatori di una riuscitissima tavola rotonda organizzata dal Comune di Rio Saliceto sul tema:”Il mercato del Lambrusco: sfide per la commercializzazione del vino di qualità”. Il suggestivo teatro comunale era gremito in ogni ordine di posto a dimostrazione del forte interesse nei confronti di un tema che oggi sta a cuore di moltissimi produttori, in particolare di province come quella di Reggio Emilia e di Modena.
Si è capito molto presto che la maggioranza dei presenti era lì nella speranza di avere buone notizie sul futuro del Lambrusco.
Ma di buone notizie, purtroppo, non ne sono arrivate molte, e quelle poche sono giunte da noi che avevamo il compito finale di tracciare possibili strategie per dare, in particolare, una nuova reputazione, più remunerativa, ad uno dei più noti re del vino italiano.
A fare il quadro produttivo ed economico del Lambrusco era intervenuta Tiziana Sarnari, analista presso Ismea, una delle maggiori esperte italiane sulle dinamiche di mercato dei nostri vini in Italia e all’estero.
I numeri presentati dalla Sarnari sono stati molto eloquenti nella loro crudezza e purtroppo ci hanno confermato una fotografia spietata sullo stato attuale dell’universo del Lambrusco.
In estrema sintesi i dati parlano di prezzi medi per le uve di Lambrusco (sia quelle destinate alle doc e alle igt) nel 2016 ben al di sotto dei 40 euro al quintale.
E le cose non migliorano se si guardano i prezzi medi alla produzione dei Lambrusco doc (Salamino, Sorbara, Reggiano, Grasparossa) che mediamente, nei primi mesi del 2017, si collocano di poco al di sopra dei 55 euro al quintale e questo soprattutto grazie al Sorbara che sta registrando prezzi attorno ai 75 euro/quintale, mentre per le altre tre doc si staziona tra i 50 e i 60 euro/quintale.
Non vi è tanta differenza se si guardano i prezzi medi dei Lambrusco igt (Emilia Lambrusco Bianco ed Emilia Lambrusco) che quest’anno oscillano attorno ai 3,7 euro/ettogrado, mentre se la cava meglio il Rossissimo che staziona vicino ai 5,5 euro/ettogrado.
Prezzi medi che se confrontati con gli andamenti medi nazionali evidenziano una situazione peggiore nell’universo del Lambrusco rispetto al resto dell’Italia. Nel confronto, ad esempio, tra gli indici di prezzo dei vini italiani del 2016 sul 2017 i vini doc/docg rossi e rosati hanno registrato una riduzione del 2,9%, ma i Lambruschi doc nel medesimo periodo hanno registrato una diminuzione del 4,5%. E lo stesso dicasi per le igt che hanno visto una riduzione dei prezzi medi per i rossi e rosati del 14,6% a livello nazionale e del 19,1% per i Lambruschi igt.
Altro elemento emerso dalla relazione della brava Sarnari è stata l’attuale “disaffezione” dei produttori di Lambrusco di investire nella certificazione “doc” privilegiando le “igt” e questo testimonia ulteriormente la difficoltà del sistema Lambrusco di valorizzare le proprie diversità, peculiarità.
E le “positività” le vorremmo far partire proprio da quest’ultima osservazione e cioè della perdurante difficoltà del sistema Lambrusco di far emergere in maniera chiara e percepibile le proprie diverse anime, identità.
Parliamoci chiaro, una vita passata a dividersi, produttivamente parlando, tra Sorbara, Grasparossa di Castelvetro, Salamino di Santa Croce, Modena e Reggiano (ma noi aggiungeremmo sommessamente anche “Mantovano”) e poi “investimenti zero”, “coordinamento sotto zero”, per comunicare al meglio queste diverse identità.
Dimenticando una delle poche regole auree del marketing: quando non capisco bene chi sei sono disponibile a pagare solo il prezzo più basso.
Ma paradossalmente, a nostro parere, e lo abbiamo detto forte a Rio Saliceto, questo limite attuale del sistema Lambrusco può diventare una grande forza se finalmente si è disponibili a rendere evidenti, chiare queste differenze.
Non siamo assolutamente a favore dell’appiattimento dell’immagine, le diversità sono una forza fondamentale per un settore come quello vitivinicolo. Lo stiamo ripetendo da tempo (inascoltati) anche agli amici del Prosecco che è fondamentale rendere evidente la “piramide qualitativa” di questa grande bollicina italiana. Concentrarsi solo su un nome, su un brand, seppur noto e di successo, a gioco medio-lungo diventa un pericolosissimo handicap.
E proprio i produttori del Prosecco dovrebbero, a nostro modestissimo parere, venire un po’ a lezione dai colleghi del Lambrusco per capire gli errori da evitare.
Ma anche il “tempo” sta aiutando, a nostro parere il Lambrusco, e il tempo oggi racconta di tendenze di consumo (leggerezza, piacevolezza, abbinabilità, ecc.) che si sposano in maniera straordinaria a questa tipologia di vino.
Ma per intercettare queste tendenze, altro consiglio che abbiamo lanciato dal palco di Rio Saliceto, è fondamentale dare spazio, enfasi ai cosiddetti leader, in particolare le piccole, medie imprese.
Su questo fronte, sempre la Sarnari ha evidenziato una struttura produttiva in Emilia-Romagna fortemente caratterizzata dal modello cooperativo che in questa regione assorbe il 70% della produzione contro il 50% a livello nazionale.
Ma sarebbe un errore, secondo noi, addossare alla cooperazione la responsabilità del mediocre posizionamento e immagine del Lambrusco a livello internazionale.
E’ essenziale che tutti si assumano le proprie responsabilità, individuando magari un nuovo “contenitore” di coordinamento, ma è essenziale, arrivati a questo punto, lasciare che i player che meglio d’altri stanno dando lustro (remunerazione) ai propri prodotti che diventino gli apripista per costruire una nuova immagine di questo nostro straordinario vino.
Le aspettative non solo sono tante, ma ci sono già molti “endorsment” nei confronti del Lambrusco da parte anche di autorevoli opinion leader che da tempo evidenziano la necessità che il “mondo cambi opinione sul Lambrusco”.
Oggi si ha la sensazione che il mondo sia pronto per sposare una nuova reputazione del Lambrusco, finalmente capace di remunerare adeguatamente tutta la filiera, e i produttori lo sono?