Nello scorso appuntamento con la collega Roberta Crivellaro sono stati introdotti alcuni concetti preliminari legati alla normativa internazionale e a quanto sia importante prevenire un contenzioso anziché doverlo risolvere.
Uno degli aspetti più controversi quando si tratti di accordi internazionali, e non solo, è comprendere cosa sia un contratto e le sue regole, strumento che ci consente di tutelare al meglio i nostri interessi e di disciplinare le relazioni con la parte con cui concludiamo l’accordo.

Dunque, cos’è un contratto?
Procediamo confutando un luogo comune: “Un contratto è un documento sottoscritto da due parti”. Sbagliato.
Primo perché il contratto non è solo un pezzo di carta, dunque un documento, firmato che indica le regole che due parti si danno. Può essere considerato contratto anche un accordo verbale e questo, contrariamente a quanto si pensi, è molto pericoloso.
Ciò fa sorgere un’ulteriore considerazione da confutare: “non avere contratti scritti lascia liberi di fare ciò che si vuole perchè tanto non si è firmato nulla”. Anche questo è sbagliato. Qualsiasi tipo di contratto, quindi anche verbale, ha rilevanza ai sensi di legge. E ovviamente le cose si complicano quando andiamo su scala internazionale.

Quando possiamo parlare di contratto internazionale? Un contratto si definisce internazionale quando al suo interno ci sono degli elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento, ovvero le parti, l’oggetto del contratto, il luogo di consegna e la sottoscrizione del contratto stesso sono legati ad un altro Paese. È chiaro dunque che senza un documento scritto non si possono conoscere esattamente quali sono i termini e le regole a cui bisogna sottostare.

Facciamo un esempio pratico in caso di mancanza di contratto scritto.
Un’azienda italiana del vino, va in un Paese estero, inizia a lavorare con un distributore senza che ci sia un contratto scritto e fa intendere che non abbia altri distributori sul suo territorio. Gli sta dando, magari senza saperlo, un’esclusiva di fatto.
Se dopo un po’ di tempo l’azienda inizia a lavorare anche con un altro distributore senza che il primo lo sappia, questo potrebbe benissimo fare causa all’azienda.
Consigli di massima in questo caso. Sarebbe opportuno interpellare il primo distributore prima di iniziare a lavorare con un altro distributore e richiedere una sorta di liberatoria (che in mancanza di un contratto scritto può essere anche una mail) che autorizzi ad iniziare un nuovo rapporto di lavoro con una parte terza.
Se invece non voglio più lavorare con il primo distributore, quali sono i termini in cui posso chiudere il precedente rapporto non scritto? Sicuramente dando un preavviso congruo, che può essere di un mese, sei mesi, un anno, a seconda di una serie di fattori, quali ad esempio, da quanto dura il rapporto, dal magazzino o dagli investimenti fatti in termini di marketing. Insomma il buon senso prevale.

Quando invece si negozia un contratto internazionale scritto sono due gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione: legge applicabile e giurisdizione competente in caso di controversie.
La legge applicabile varia da Stato a Stato. È opportuno sapere cosa prevede la legge della controparte per la materia di nostro interesse.
Ad esempio, se ci troviamo a lavorare in Belgio, è importante essere a conoscenza del fatto che è uno degli unici Paesi al mondo in cui ai distributori è garantita per legge un’indennità di fine rapporto equiparabile a quella prevista per l’agente. Tuttavia ciò si applica solo in caso di contratti a tempo indeterminato e non di quelli a tempo determinato.

Sfatiamo un altro pensiero comune: la cosa più sbagliata è pensare che scegliere in automatico legge e giudice italiani sia l’opzione migliore. Dipende sempre dalla controparte. Per esempio: negli Stati Uniti gli agenti sono meno tutelati che in Italia e lì l’indennità di fine rapporto non è prevista. Ciò significa che proporre la legge italiana mentre si negozia un contratto d’agenzia con una controparte americana vuol dire in un certo senso “tirarsi la zappa sui piedi”.
Queste considerazioni vanno fatte di volta in volta, a seconda del luogo dove si vuole esportare e del tipo di contratto. In mancanza di scelta chiara di una legge da applicare al contratto, la prassi vuole che venga applicata la legge del Paese della controparte.

Da non sottovalutare poi il problema linguistico e i fatti concludenti che posso portare la controparte a ritenere che il contratto sia già concluso in caso di verbale.
Tratteremo in modo più diffuso di queste ulteriori problematiche nelle prossime settimane, sperando di aver chiarito nel frattempo alcuni temi molto preziosi e da non sottovalutare per chi vuole fare affari all’estero.