In occasione del recente 40° Congresso mondiale della vigna e del vino, il direttore generale dell’Oiv, Jean-Marie Aurand, ha presentato un bilancio globale del settore vitivinicolo che ha evidenziato, soprattutto, l’incredibile evoluzione della superficie vitata in Cina.
La Cina, infatti, nel 2016 ha raggiunto una superficie di circa 847.000 ettari che la colloca al secondo posto a livello mondiale, dietro la Spagna (975.000 ettari), ma davanti a Francia (785.000 ettari) e Italia (690.000 ettari).
Solo nel 2012 la superficie era di poco sopra ai 700.000 ettari e pertanto in cinque anni la Cina ha visto crescere di oltre 140.000 ettari il proprio vigneto. Attualmente, pertanto, la Cina rappresenta l’11% della superficie vitata a livello mondiale che nel 2016 è risultata di 7,5 milioni di ettari.
Messa così potremmo anche iniziare a preoccuparci ma andando ad analizzare meglio i dati di Oiv ci accorgiamo subito come oggi il vigneto cinese è caratterizzato dalla produzione di uva da tavola, in particolare la famosa varietà Kyoho che rappresenta il 44% del vigneto in Cina. Se a quest’ultima aggiungiamo la varietà Red Globe (che occupa il 18% della superficie vitata) si capisce facilmente come oggi il vigneto in Cina sia in gran parte legato alla produzione di uve da tavola. Se a questo dato aggiungiamo le varietà di uve atte alla disidratazione (Sultanina in primis), ci accorgiamo come la superficie di vigneto destinata alla produzione di varietà da vino in Cina attualmente è attestata a circa il 15%.
Tradotto in dati produttivi significa che attualmente il “vigneto da vino” in Cina contribuisce solo del 12% alla produzione complessiva di uva (secondo i dati Oiv nel 2016 la produzione complessiva di uve in Cina è stata di 14,5 milioni di tonnellate e circa 1,7 milioni sono da ascriversi a varietà da vino).
E a proposito di varietà da vino, sempre secondo i dati Oiv, il Cabernet Sauvignon rappresenta il vitigno più coltivato in Cina (7% della superficie vitata totale), seguito da Merlot e Carmenere (tutti e due con una quota dell’1%).
Sono numeri che dovrebbero da un lato tranquillizzare tutti coloro che temono la crescita della produzione di vino in Cina e dovrebbero invece preoccupare tutti quelli, invece, che speravano in una maggiore crescita del vigneto da vino cinese.
Noi apparteniamo, lo abbiamo dichiarato anche nel passato, a quest’ultima categoria. Pensiamo, infatti, che l’aumento della coltivazione di varietà da vino in Cina, soprattutto attraverso un progresso della vitivinicoltura di qualità, possa rappresentare un vantaggio per le nostre produzioni e quindi del nostro export in quel mercato.
Utile ricordare, a tal proposito, la nostra evoluzione sul mercato Usa anche grazie alla crescita qualitativa delle produzioni enologiche made in California.
Il fatto che tuttoggi la uve prodotte in Cina siano ancora in grandissima parte da tavola o destinate alla disidratazione (parte di quelle da tavola finiscono tuttoggi anche nella produzione di vini di pessima qualità) testimonia come vi sia ancora tanta strada da fare affinché la Cina diventi una paese “enologicamente evoluto”.
E la costruzione di una cultura adeguata sul fronte del vino passa inevitabilmente anche attraverso la crescita qualitativa (e in parte inevitabilmente anche quantitativa) del cosiddetto “domestic wine”.
Illudersi che i grandi paesi produttori si sobbarchino da soli il peso dell’educazione enologica del grande paese asiatico è un po’ presuntuoso e pericoloso.
Basta leggere i numeri attuali per rendersi conto come la Cina pur vedendo crescere import e consumi di vino lo stia facendo ad una velocità ancora molto più ridotta rispetto alla reali potenzialità.
Questo, a nostro modesto parere, è uno dei principali motivi per i quali la Cina rappresenta per il vino un “potenziale eterno” grande mercato.