Sono due domande abbastanza “scontate” perché rispecchiano in maniera semplice e diretta la principale problematica delle aziende rispetto al tema export.
Una problematica che diventa ancor più complessa quando ci troviamo di fronte ad aziende di medio-piccole dimensioni, se non addirittura micro, magari spesso alle loro prime esperienze di export e senza risorse umane specificatamente dedicate a questa difficile attività. Praticamente gran parte del tessuto produttivo italiano.
Le risposte a queste due domande noi, da molti anni ormai, le ricerchiamo sul campo o, come si dice in gergo commerciale, “sul marciapiede”.
E non ci sono tante alternative al marciapiede nel business del vino, che continua ad evidenziare l’importanza del ruolo delle “relazioni” rispetto ad altri comparti dove le dimensioni, il prezzo, la forza economico/finanziaria sono spesso un pre-requisito indispensabile.
Abbiamo posto queste due domande ad un importatore e 12 distributori americani suoi clienti, che abbiamo incontrato in un’interessante cena pre Vinitaly grazie ad un’ottima azienda con la quale collaboriamo che ci ha dato l’opportunità di poterli conoscere direttamente.
Per rispetto dell’azienda che ci ha invitato e della privacy degli invitati non daremo nessun nome ma vi garantiamo che si trattava, dal nostro punto di vista, di uno dei migliori importatori di vini italiani di qualità negli Usa (con un’esperienza più che ventennale e una selezione molto curata ed intelligente di alcuni dei brand più interessanti e originali del panorama vitivinicolo italiano) e di 12 distributori molto rappresentativi di Stati meno “noti” nel panorama del mercato del vino negli Usa (Missouri, Minnesota, Colorado, Winsconsin, Nebraska, Iowa, Virginia, Georgia, Washington, Kentucky, Mississippi).
Prima di entrare nei dettagli delle loro risposte ci piace evidenziare come tutti, nessuno escluso, abbiano sottolineato che esistono ancora ampi margini di miglioramento dell’export del vino italiano nei loro rispettivi mercati. Una premessa importante per un mercato troppo spesso considerato, erroneamente, già eccessivamente affollato ed estremamente maturo.
Che sia affollato non vi è dubbio, che sia maturo anche ma è l’aggettivo “troppo” che rischia di limitare a prescindere le azioni delle aziende italiane sul più importante mercato del vino al mondo.
Le due domande sono in qualche misura unite tra di loro perché di fatto si tratta delle ricerca di nuovi importatori in uno specifico mercato.
Per questa ragione abbiamo sintetizzato in una domanda le due richieste da parte delle nostre aziende: “Cosa deve fare oggi un’azienda per trovare uno sbocco commerciale interessante sul vostro mercato?”.
Abbiamo ricevuto molte risposte che di seguito evidenziamo in ordine di importanza (numero di risposte uguali o simili ricevute).
Pazienza – Fondamentale che le aziende accettino un percorso a tappe pluriennale senza illudersi di poter realizzare grandi vendite in tempi brevi. Questo è ancor più vero per quelle realtà che hanno brand sia aziendali che territoriali (denominazioni) poco o per nulla noti. Il concetto “go slow and go far” (vai piano ma vai lontano) è stato evidenziato da tutti gli interlocutori intervistati. Ma la “pazienza”, secondo l’importatore e i distributori intervistati, rappresenta anche una garanzia per i produttori che evitano così di fare investimenti affrettati nella speranza di “sfondare subito sul mercato”. A questo proposito l’importatore ci ha sottolineato come le stesse risorse dell’ocm vino, messe a disposizione per la promozione nei paesi terzi, talvolta hanno causato pericolose illusioni ad alcuni produttori facendo loro pensare che “bastava investire molto” per avere “risultati veloci”.
Identità unica e peculiare (personalità) – Essenziale per gli intervistati che le aziende e i loro prodotti abbiano personalità forti, ben riconoscibili. “Troppo aziende ci propongo vini corretti ma neutri, senza personalità, con storytelling simili a tanti altri”. Un tema molto complesso ed importante quello della “personalità” di un brand, di un prodotto. Molte aziende, a tal riguardo, ci dicono:”Ma se io ho vitigni non aromatici, che non esprimono vini dalle caratteristiche così forti e riconoscibili se non la piacevolezza, la bevibilità, la semplicità, come faccio a rendermi riconoscibile?”. Innanzitutto capire quanto siete riusciti a far esprimere al massimo la vostra personalità. Cercate di capire molto di più come i vostri migliori competitor del territorio si stanno comportando, come riescono a tirare fuori il meglio dai vitigni del vostro territorio, con quali accorgimenti agronomici ed enologici. Insomma non considerate mai il vostro risultato produttivo come un’asticella che non si può più innalzare. Nella personalità, poi, va sempre considerato il fattore comunicazione che rappresenta un’arma fondamentale da utilizzare ma che oggi, paradossalmente, è ancora così poco sfruttata.
Accompagnamento – “I produttori devono mettersi in testa di costruire il loro brand nei nostri mercati insieme a noi. Non possono delegare a noi tutto il lavoro”. Se questa è la premessa, dal punto di vista concreto la risposta più richiesta è quella dell’accompagnamento. “La vostra presenza, o la presenza di un vostro rappresentante autorevole sui nostri mercati fa la differenza”.
Comunicazione/promozione/adv – Abbiamo condensato nel trittico comunicazione, promozione e advertising il tema della costruzione di notorietà del brand aziendale sui mercati. Per l’importatore e i distributori intervistati la visibilità del brand nella critica enologica più autorevole, pur non avendo lo stesso peso di alcuni anni fa, permane un aspetto molto importante soprattutto per aziende e prodotti ancora poco noti sul mercato (“rappresenta un punto di partenza molto importante, senza nessun accreditamento diventa una salita più ardua”). Importante individuare elementi peculiari da comunicare. “Trovate i vostri punti di differenza, non limitatevi alle solite cose scontate che dicono tutti”.
Packaging – L’abbiamo messo all’ultimo posto di questa “classifica” ma è stato incluso praticamente in ogni risposta. Ormai il packaging rappresenta una chiave fondamentale per rendersi riconoscibili, per esprimere una specifica personalità. “Purtroppo continuiamo a vedere troppe aziende italiane che non curano in maniera adeguata il vestito dei propri vini”. Vista poi l’immagine del made in Italy nel mondo nei confronti dei vini italiani c’è molta più aspettativa anche in termini di eleganza, di originalità, di stile.
Per il momento ci fermiamo qui, ma a breve pubblicheremo altri suggerimenti emersi da questo prezioso incontro con buyer americani.