Un tema che ogni produttore affronta, prima o poi: si perdono giorni per le carte e i form online, ci si arrabbia per le regole e le procedure, si fanno calcoli al centesimo sul prezzo, scontrandosi con colossi da milioni di bottiglie che, ovviamente, fanno politiche diverse. Poi, se tutto va in porto, l’impegno è ripagato da una garanzia importante.
Sto parlando dei mercati di Monopolio, ovvero quelli in cui un’istituzione (non dico lo Stato, perché sarebbe una definizione generalista e riduttiva) controlla l’importazione e la circolazione di bevande alcoliche. L’esempio più lampante, in Europa, è rappresentato dai paesi Scandinavi, tra i mercati più importanti per i vini artigianali e naturali, grazie a una particolare sensibilità di questi Paesi, e dei loro abitanti, per i sapori più puri e più reali (per gli appassionati di caffè, potrei citare le differenze lampanti tra la tostatura italiana, o triestina, e la tostatura francese o quella viennese, amatissime nei paesi Scandinavi, e lo stesso amore per i sapori più pungenti, aspri e “veri” si ripercuote sulla scelta dei vini).
Fuori dall’Europa, il più importante e “appetitoso” è forse quello del Canada, che userò come esempio per analizzare le possibilità e le difficoltà di un mercato di Monopolio per i vini artigianali e naturali.

Manfred Audard, titolare di BMT Importations a Montréal, dice che: “L’interesse in Québec per la produzione naturale, nel vino come nel cibo, è crescente. Le persone sono sempre più attente a cosa mangiano e cosa bevono. Tutte le enoteche hanno uno spazio dedicati ai vini sostenibili, il che non significa solo bio o naturale, ma anche da produttori che promuovono e investono in iniziative sociali e ambientali.”
In Québec, la provincia francofona del Canada, l’istituzione che controlla la circolazione di bevande alcoliche è la SAQ (Société des Alcools du Québec). In realtà le vie di importazione sono due: con il Monopolio e diretta. Importare direttamente significa comunque dover ottenere il permesso del Monopolio ma avere assoluta libertà nella scelta, nelle quantità e nelle politiche commerciali, una libertà d’azione maggiore che ovviamente prevede un rischio d’impresa (sia per l’importatore che per il produttore) maggiore. Importare con il Monopolio significa invece far passare i vini attraverso un procedimento di selezione rigido e lungo, per poi vedersi garantire un rischio d’impresa che rasenta lo zero, con pagamenti e logistica gestiti dal Monopolio stesso.

Come funziona in breve? L’importatore / agente “patrocina” le proposte di determinati produttori. Se i vini passano la selezione, il Monopolio avvia e gestisce la procedura di ordine, acquisto e spedizione, mette il vino in catalogo e l’importatore / agente ne diventa una sorta di ambasciatore presso negozi e ristoranti.
Sembra tutto lineare, tutto semplice, ma non abbiamo analizzato lo scoglio più difficile: la selezione. “La SAQ” continua Manfred “riceve ogni anno migliaia e migliaia di richieste, e ovviamente non può conoscere migliaia e migliaia di vini. Per questo organizza un procedimento di selezione in due step: la prima parte analizza principalmente i punteggi, i premi, le menzioni (25 punti su 32), mentre la seconda valuta principalmente le caratteristiche organolettiche e il rapporto qualità/prezzo, e la sostenibilità.”
Se nessun buon produttore ha paura di un’analisi (anzi forse è doverosa), la prima parte della selezione mette di traverso la maggior parte dei produttori artigianali e naturali.

Da promotore e ambasciatore del vino artigianale e naturale, vedo errori gravi da entrambe le parti.
Non è credibile che, nel 2016, dopo dieci anni di rivoluzione del mondo del vino e dopo scandali su scandali in ogni Paese, un’istituzione basi gran parte del proprio giudizio sui punteggi e sulle menzioni. Significa non essere al passo con i tempi, non rendersi conto di cosa sia successo. Non è possibile dare più peso ai punteggi che ai metodi di produzione.
Allo stesso tempo, la scelta (spesso politica) dell’80% dei produttori artigianali e naturali di non inviare i campioni alle guide, forse condivisibile a livello etico e di “rivolta” contro un sistema di giudizio evidentemente anacronistico e poco limpido, significa purtroppo auto-ghettizzarsi, rifiutare il confronto, che invece dovrebbe essere diretto e ed alta voce, con il vino convenzionale.
“Non è facile” dice Manfred Audard “ottenere riconoscimenti importanti, ma certamente aiuta ad aprire mercati di Monopolio come quello del Québec.”

Le definizioni non aiutano, dato che già il concetto di naturale ha una connotazione diversa in America rispetto a quella che ha in Italia e Francia. Secondo Manfred Audard: “La questione è veramente complicata, e la complessità cresce proporzionalmente alla popolarità del naturale. In Québec, per vin nature si intende comunemente vino senza solfiti aggiunti, il che certamente confonde.” Oggi le aziende enotecniche forniscono i grandi gruppi industriali di tecnologie in grado di rimuovere la solforosa. “E questo non possiamo definirlo naturale.”

Il tema è difficile e certamente la soluzione non è chiara né definita. Ho parlato del Québec, ma tutti i Monopoli hanno regole d’entrata precise e riconoscibili, perché la soggettività non può essere un criterio accettabile per un’istituzione. Certamente, un avvicinamento di posizioni tra i produttori artigianali naturali (che a volte faticano a considerare sé stessi all’interno del mondo del vino in generale) e le istituzioni (che troppo spesso non ne comprendono le particolarità e le diverse necessità) è fondamentale per dare la possibilità alle persone di trovare i vini in commercio.

EMILIANO AIMI
www.winethics.com/it
Fondatore di Winethics. Consulente e ricercatore di vini per importatori, distributori, ristoranti, wine bar, eventi (qualcuno dice wine hunter, qualcuno wine broker), scrittore, consulente di comunicazione, viene da esperienze in Italia, Germania e Stati Uniti da cuoco, ristoratore, selezionatore vini, organizzatore di eventi e importatore.