Dopo gli anni di grande successo dei vitigni internazionali, si è assistito ad una inversione di tendenza che ha portato alla ribalta, sia in Italia che all’estero, i vitigni autoctoni. La valorizzazione delle uve storicamente legate a un determinato territorio costituisce senza dubbio un grande vantaggio per l’italia che, grazie alla sua importante varietà pedoclimatica, vanta un patrimonio di oltre un centinaio di vitigni autoctoni. In questo contesto, il vino diventa uno strumento per raccontare un paese complesso e meraviglioso come l’Italia e per potenziare il circuito enoturistico ancora poco sfruttato.
Durante lo scorso Wine2Wine abbiamo assistito ad un’interessante seminario in cui sono stati messi sul piatto i vantaggi e gli svantaggio dei vitigni autoctoni, le loro potenzialità e le strategie di comunicazione più indicate per promuoverli sui mercati internazionali.
Il vitigno autoctono è prima di tutto uno “strumento di riscatto” per la terra, il territorio da cui proviene, così come ha raccontato Luca Ferraris della Ferraris Agricola che ha ricordato come il vitigno piemontese Ruchè, vinificato in purezza per la prima volta negli anni ‘70 dal parroco di Casal Monferrato Don Giacomo Cauda, sia divenuto strumento di riscatto, appunto, per quelle terre abbandonate a seguito dell’industrializzazione torinese.
Un ulteriore punto a favore dell’autoctono è il valore della tipicità, intesa quale insieme di elementi che concorrono a rendere unico e identificabile un vino. Questo elemento assume un significativo rilievo in questo settore perché rende il prodotto insostituibile e, pertanto, capace di reggere alla fugacità delle mode e alla concorrenza sul prezzo. Il successo di questa strategia commerciale dipende, tuttavia, anche dalla capacità dell’azienda di comunicare tali valori al pubblico.
Questo obiettivo deve essere perseguito attraverso puntuali strategie di marketing. Marzia Varvaglione della Varvaglione – Vigne e Vini Srl ha raccontato come l’azienda di famiglia abbia sviluppato il progetto di re-innovazione del Primitivo di Manduria puntando su packaging, naming e labelling ad alto impatto emozionale, valorizzando così il potenziale dell’autoctono.
Per allargare il range dei potenziali clienti e soddisfare le esigenze di ogni consumatore, tale linea è stata integrata con prodotti alternativi in un’ottica di consolidamento della brand equity.
Quali sono allora le criticità legate a questo settore di mercato?
Agli occhi del pubblico, innanzitutto, l’immagine del vitigno identitario ha un effetto stigmatizzante poiché crea categorie di percezione, che portano il consumatore ad associare un’uva a un determinato stile.
Come ha raccomandato Gianluca Garofoli di Casa vinicola Gioacchino Garofoli, legare l’immagine dell’azienda alla popolarità di un solo vitigno può portare la stessa in balia dei cambi di gusto del pubblico e delle crisi economiche. Anche in quest’ottica, viene auspicato l’inserimento nelle linee aziendali di prodotti alternativi.
Ferme restando tutte queste considerazioni favorevoli o meno, rimangono chiare le potenzialità di questo interessante trend che sono gli autoctoni.
L’autoctono consente senza dubbio all’Italia di puntare a un potenziamento del mercato del vino non solo in termini quantitativi, sfruttando la crescente curiosità del pubblico nei confronti dei vitigni autoctoni, ma anche qualitativi, aumentando il valore del vino venduto.
Questi prodotti infatti consentono all’Italia di sottrarsi alla concorrenza straniera e di creare mark up.