Scriviamo questo articolo direttamente dal Vinexpo di New York. In questa prima giornata di fiera abbiamo voluto osservare le aziende presenti dal punto di vista del packaging e le abbiamo suddivise in tre macro categorie: i tradizionalisti ad oltranza; gli innovatori senza eccessi; i rivoluzionari trasgressivi.
Ovviamente ci sono anche molte diversificazioni all’interno di queste tre categorie ma la semplificazione in questo caso è essenziale per andare direttamente al punto.
Innanzitutto va sottolineato, e questo appare evidente nelle manifestazioni di respiro internazionale dove sono presenti brand provenienti da diverse parti del mondo, che esistono “nazioni” tradizionaliste nel packaging e altre altamente innovative se non addirittura rivoluzionarie.
A quest’ultima categoria appartiene sicuramente la Spagna, il paese produttore che forse più di altri, spesso anche rispetto a molti del cosiddetto nuovo mondo, ha deciso di osare sul fronte del packaging, etichette in primis.
Francia e Italia, invece, mediamente continuano a rappresentare non solo i più “tradizionali” paesi produttori ma lo sono altrettanto dal punto di vista del packaging.
Ma cerchiamo di fare alcune riflessioni più operative, premettendo con non esiste in questo caso il giusto o lo sbagliato ma scelte che comunque, piaccia o no, hanno inevitabili conseguenze.
Consideriamo i tradizionalisti ad oltranza quelle aziende che a prescindere dalle pressioni del mercato, dalle tendenze dei consumatori, talvolta anche dai consigli di importatori o del trade, considerano il loro packaging, a partire dalle loro etichette, un bene da preservare come un panda. Al massimo si possono fare piccole modifiche senza mai stravolgere l’immagine grafica del proprio brand.
A nostro parere chi appartiene a questa categoria fa una scelta assolutamente corretta se si tratta di un brand realmente storico, la cui immagine si è sedimentata nel tempo anche grazie ad un’immagine grafica che è rimasta costante nel tempo. Quelle etichette, sempre uguali o con modifiche quasi insignificanti, sono uno strumento chiave per rassicurare i propri clienti, il proprio target. Quante sono in Italia, ma anche nel mondo, brand che hanno anche nel proprio packaging uno strumento di fidelizzazione che può essere modificato con estrema attenzione per non perdere una riconoscibilità storica?
Non pensiamo di sbagliare se scriviamo pochissimi. Non vogliamo dare numeri a caso me non andiamo troppo lontano se in Italia difficilmente arriveremmo a poche decine di realtà (e forse esageriamo un po’).
Ma allora significa che quasi tutte le aziende di vino possono osare con packaging rivoluzionari e innovativi? Assolutamente no, ma aspettate ancora un attimo per una risposta un po’ più esaustiva.
Esistono poi le aziende che innovano con gradualità il proprio packaging, quelle, tanto per intenderci, che modificano con una certa frequenza (a seconda dei mezzi e della dimensione aziendale) le proprie etichette ma senza mai esagerare. La parola d’ordine quasi sempre in questi casi è la sobrietà. Spesso il cambiamento è dettato dall’inserimento di una nuova linea di prodotto, del dover rendere più visibile il brand aziendale o, altre volte, la denominazione.
Potremmo affermare che a questa categoria appartengono la maggioranza delle aziende del vino in Italia e nel mondo.
Il problema, dal nostro punto di vista, che molti di questi cambiamenti avvengono senza una precisa riflessione, analisi delle possibili conseguenze ma semplicemente dal fatto che “ogni tanto bisogna cambiare”.
Infine vi è la categoria dei rivoluzionari, di quelli che pur di farsi vedere sono disposti anche a “vestiti” estremi e trasgressivi. Quelli per i quali l’essere originali è tutto, costi quel che costi.
Anche in questa categoria, però, come in ogni avanguardia rivoluzionaria, vi sono quelli che riescono ad anticipare i tempi, ad interpretare in maniera più evoluta ed attenta delle tendenze che non sono ancora visibili ai più.
È evidente, a nostro parere, che l’originalità fine a se stessa, senza significati particolari se non di tipo estetico o “semplicemente” provocatorio, rischia non solo di non cogliere il bersaglio ma di essere addirittura controproducente.
La domanda che dovrebbero farsi sempre i “rivoluzionari” del packaging è come conciliare un’immagine originale, anche trasgressiva, con una reputazione coerente all’identità del proprio brand e del proprio target di riferimento.
Nel mondo del vino, infatti, non vale molto la regola dello spettacolo “non mi interessa di piacere o meno, l’importante è che la gente mi riconosca”.
In estrema sintesi, impossibile essere esaustivi su un tema così complesso, riteniamo di dare alcune linee guida:
– piaccia o no il packaging sta assumendo un ruolo sempre più strategico nel mercato del vino e tutti i produttori devono fare i conti con questo;
– l’etichetta, ma anche la forma, il colore della bottiglia sono un biglietto da visita immediato non solo relativo a quel vino ma anche all’immagine complessiva di un’azienda;
– i consumatori stanno diventando sempre più laici ed infedeli. Certi paradigmi della tradizione che sembravano insuperabili nel passato oggi hanno perso gran parte del loro valore e questo sta portando alla possibilità di osare molto di più sul fronte del packaging;
– è molto meglio pensare a cambiare o modificare il proprio “vestito” secondo una logica che abbiamo studiato ed elaborato prima che siano gli altri a costringerci, spesso in fretta, a farlo.