Jermaine Stone e Rocco Toscani in un interessante dialogo hanno dimostrato ancora una volta che vendere esperienze, e non solo prodotti, ci rende più competitivi. 

“L’hip hop non è solamente un genere musicale, l’hip hop è una cultura; questo significa che racchiude tutti gli aspetti della vita: dal fashion al modo di parlare, dallo stile di vita al cibo, e il vino detiene un ruolo fondamentale in questo”. 

Questo è ciò che  ha spiegato Jermaine Stone, il newyorkese fondatore della Cru Luv Selection, società che unisce vino ed hip hop, durante la conferenza a wine2wine “Vino e hip hop: l’evoluzione di una sofisticata cultura”. Stone ha risposto alle domande di Rocco Toscani, produttore di vino dell’azienda agricola Toscani. 

La domanda che sorge più spontanea è semplice: in che modo l’hip hop è correlato al mondo del vino? E la risposta è altrettanto semplice: vino ed hip hop sono due simboli chiave di relazione tra le persone, questa si può formare durante un aperitivo o una degustazione o ancora durante un concerto. Entrambi creano emozioni condivisibili, sono il risultato del lavoro e dell’impegno, mostrano la fatica e i sacrifici, ma sono anche, e soprattutto, simbolo dell’amore per una passione. Toscani ha tenuto a sottolineare che ogni vino è lo specchio del duro lavoro giornaliero, del tempo passato in vigna e di quello speso per pensare a come rendere il prodotto sempre migliore. Allo stesso modo una canzone riflette le paure e le soddisfazioni del cantante, le ore spese in sala di registrazione per creare un’emozione per i propri fan. 

“La connessione che si crea è quindi soggettiva perché non esistono gusti giusti o sbagliati, esistono vini e canzoni che piacciono o meno e quando più persone si ritrovano davanti a queste esperienze, perché musica e vino sono più di un prodotto, condividono emozioni”. 

Ma cosa è la “Wine and HIP HOP culture”? 

L’hip hop nasce negli anni ’70 in un contesto di festa; i parties erano all’ordine del giorno ed elemento fondamentale era il vino. Stone ha sottolineato che inizialmente i clienti richiedevano un prodotto dolce e con un’alta gradazione alcolica che non teneva in considerazione la qualità. Ora, invece, la domanda si focalizza sulla qualità; la cultura hip hop ha infatti abbracciato sempre più il mondo del lusso, è una forma d’arte che racconta della possibilità di una vita migliore e non a caso ha dato sempre più valore al vino, che rende ogni situazione più raffinata. 

Sarebbe riduttivo però concepire gli artisti hip hop solo come dei potenziali clienti delle aziende vitivinicole perché oramai sono diventati sempre più degli influencer. Basta guardare al fashion e a come Gucci e Louis Vuitton si siano ispirati per le recenti campagne agli anni ’80 e al mondo hip hop per capire l’influenza di questa cultura. Influenza che colpisce tutte le fasce di età ma, cosa più importante, anche il mondo del vino. Il Bel Air nel 2016 è stato il vino più cercato in internet subito dopo essere stato nominato in alcune canzoni hip hop; inoltre numerosi cantanti hanno creato le loro private label: il celebre Jay-z ha ad esempio lanciato il suo marchio “Ace of Spades” di un Armand de Brignac attraverso il video musicale del 2006 “Show Me What You Do”. 

Il consiglio di Jermaine Stone è quindi quello di notare le differenze di gusto anche tra i diversi Paesi, istruire il cliente e aiutarlo a capire le particolarità di ogni vino, ma anche, e soprattutto, è fondamentale descrivere cosa c’è dietro al prodotto finito perché vendere emozioni ed esperienze rende competitivi sul mercato.