La maggior parte degli analisti sarà probabilmente d’accordo sul fatto che al momento ci sono più domande che risposte sul futuro post-pandemico del mercato globale del vino.
All’inizio di giugno, i broker internazionali Ciatti hanno riunito un gruppo di illustri esperti per cercare di esaminare alcune delle tendenze che potrebbero emergere man mano che si delineano gli sviluppi della “nuova normalità”.

Come per molti settori, l’emergenza Covid-19 non ha necessariamente creato nuove tendenze nel mercato globale del vino, ha piuttosto esacerbato quelle esistenti dato che l’industria vinicola risentiva di alcune problematiche ben prima che scoppiasse la pandemia.
“Il 2018 è stato il raccolto più abbondante che il mondo abbia mai registrato, ci ha messo subito in una situazione di eccesso di offerta“, ha sottolineato Greg Livengood, presidente di Ciatti. “Ci sono voluti diciotto mesi per iniziare a lavorare con l’eccesso di offerta, abbiamo sicuramente vino sfuso in eccesso in tutto il mondo e i prezzi rimangono bassi“.
Nonostante gli sforzi concertati delle autorità e dei comparti vinicoli di diversi grandi Paesi produttori, al fine di eliminare parte dell’offerta in eccesso anche attraverso misure di distillazione, la situazione non è destinata a migliorare in tempi brevi.
Paesi come Cile, Argentina e Australia hanno stimato che la loro produzione diminuirà di circa il 20% nel 2020. Questo secondo Livengood è un dato positivo: “quest’anno il raccolto dell’emisfero australe è favorevole e aiuterà la situazione come ha fatto il raccolto del 2019″.

Ovviamente, l’on-trade (Horeca) è la più grande vittima del lockdown e delle misure di distanziamento sociale. Il suo impatto sul mercato sarà probabilmente avvertito sia dai fornitori di vino sfuso che dalle aziende vinicole di alta gamma. Nonostante l’aumento delle vendite off-premise (online, retail e GDO) registrato in molti mercati di consumo durante il lockdown, secondo Glenn Proctor, partner di Ciatti “la maggior parte dei consumatori acquista ciò che conosce. Non vogliono sperimentare, ma piuttosto bere qualcosa che li fa sentire a proprio agio e a cui sono legati“. La conseguenza di ciò è stata una certa razionalizzazione: “I retailer si sono concentrati su un assortimento limitato di grandi marchi“, ha confermato Stephen Rannekleiv, global beverage strategist della banca olandese Rabobank. “Con bassi tassi di occupazione, la stessa tendenza si riscontra anche nel settore on-premise”.
Anche in questo caso, la rilevanza dell’on-trade per il mercato globale – pur variando da una regione all’altra – non va sottovalutata, tanto più che le sue attuali difficoltà non si risolveranno rapidamente.
Rannekleiv prevede che “la ripresa dei servizi di ristorazione richiederà probabilmente 30 mesi. I bar e i ristoranti hanno costi di gestione elevati e necessitano di coprire almeno il 70-80% della capienza massima solo per raggiungere il pareggio. Anche i grandi marchi che fanno bene off-premise sono ancora in difficoltà, perché è proprio on-premise che marginalizzano maggiormente“.

Secondo Greg Livengood “l’attuale situazione economica tende ad aumentare la domanda di vini di valore e ci potrebbe essere una maggiore domanda di prodotti d’alta gamma in futuro”.
Tuttavia il futuro sarà sicuramente impegnativo per il settore vitivinicolo. Le controversie commerciali in corso e i crescenti disordini civili avevano già generato una certa instabilità prima dell’epidemia di Covid-19. La speranza ora è che il raccolto nell’emisfero settentrionale sia in linea con quello dell’emisfero meridionale. Un grande raccolto europeo avrebbe un impatto negativo considerando le dinamiche della domanda globale attuale.