E’ difficile, ovviamente, trovare aspetti positivi da eventi gravi, talvolta anche catastrofici, come possono essere le grandinate, le gravi fitopatologie ma anche le gelate che hanno colpito in questi giorni molte delle nostre zone vitivinicole, con un numero rilevante di aziende che si sono viste nel giro di una notte spazzare via gran parte degli investimenti fatti per quest’annata produttiva.
Paradossalmente questi eventi, che non esitiamo a definire drammatici, devono però farci ricordare alcuni importanti aspetti di questo affascinante ma complesso comparto vitivinicolo.
Il primo che si tratta, non dobbiamo dimenticarlo mai, della cosiddetta “fabbrica a cielo aperto” con tutti i rischi che ne derivano. Una “fabbrica”, inoltre, che sta subendo, e secondo le previsioni più autorevoli, subirà ancor di più nel prossimo futuro, tutte le conseguenze delle cosiddette mutazioni climatiche.
Altro aspetto importante da ricordare, conseguenza sempre del primo, è che il vino inevitabilmente è un prodotto “mutevole” sia in termini produttivi che qualitativi. Questa peculiarità ha una ricaduta in termini di marketing, comunicazione, aspetti commerciali (posizionamento), critica enologica e tanti altri, lo vorremmo scrivere a caratteri cubitali, impressionante.
Può, infatti, un prodotto che per natura non è standardizzabile essere omologato alle regole classiche del marketing, della comunicazione, della definizione del prezzo?
Assolutamente no. Eppure, tuttoggi, si parla di vino, del comparto vitivinicolo come fosse una normale attività produttiva. Addirittura c’è chi tuttoggi, anche all’interno del mondo produttivo, denuncia tra i problemi del sistema “l’eccessiva complessità”, le “troppe diversità”.
Bellissimo, a questo proposito, l’editoriale di Patrick Schmitt, master of wine e direttore del magazine The Drink Business, che inizia con un eloquente:”Per tutti coloro che desiderano che il comparto vitivinicolo semplifichi la sua offerta, si prepari ad essere seriamente deluso”.
Il noto master of wine inglese fa un serio e sottoscrivibile “endorsment” alla complessità dell’universo del vino considerandola la risorsa “chiave” per renderlo unico e riconoscibile rispetto ad altre tipologie di bevanda.
Questo però talvolta sembrano dimenticarselo proprio i produttori quando temono, ad esempio, di raccontare le diversità tra un’annata e l’altra, magari ammettendo le negatività di qualche vendemmia.
Senza dimenticare le straordinarie diversità tra le diverse tipologie di produttori (grandi, piccoli, artigiani, industriali, commercianti, ecc.), tra i diversi terroir, tra vigna e vigna.
Diversità che gli appassionati, i consumatori fortunatamente amano sempre di più (andate a questo proposito alla prossima London Wine Fair, in programma dal 22 al 24 maggio, e visitate l’area di Esoterica dove piccoli importatori presentano un mare di diverse nicchie produttive di tutto il mondo), talvolta sembra molto di più degli stessi addetti ai lavori.
Ma queste ultime gelate, con il loro diverso impatto anche all’interno degli stessi territori, ci hanno evidenziato come vi sia, ad esempio, una grande differenza tra pianura e collina. Ad essere danneggiate maggiormente sono state molte aree di pianura o di fondo valle e questo non può non far riflettere. Non significa, ovviamente, fare assurde campagne contro il valore della viticoltura di pianura, ma è indubbio che va valorizzata sempre di più quella di collina che spesso non si vede riconosciuta gli sforzi aggiuntivi (sotto tutti i punti di vista) che i produttori devono realizzare. Basta andare a vedere anche oggi in quali aree stiamo perdendo quote di vigneto. La collina, e con i cambiamenti climatici lo sta diventando sempre di più innalzando anche la sua “quota”, è un valore inestimabile per la qualificazione della nostra vitivinicoltura. Dobbiamo in tutti i modi riconoscerlo anche partendo da un nuovo approccio alle zonazioni (ammesso che si abbia ancora voglia di realizzarne) che dovrebbero essere sempre meno “politiche” e più rispettose di quello che la “natura” garantisce.
Un ultimo riferimento doveroso va fatto sul legame tra “gelate” e “prezzi”. Può un comparto vitivinicolo, alle prese da rischi sempre più elevati sul fronte climatico, ancora oggi non dotarsi di strumenti idonei sul fronte del controllo dei prezzi? Almeno delle denominazioni più note?
Possiamo continuare a non considerare nella costruzione di un prezzo, di una politica di posizionamento anche tutta una serie di inevitabili rischi per le nostre produzioni enologiche?
Noi pensiamo che i consumatori non solo capirebbero ma probabilmente apprezzerebbero finalmente questa trasparenza.
Non farebbe peggio, a questo riguardo, che dopo gli annunci dei danni di queste gelate, come spesso capita anche dopo quelli di alcune grandinate drammatiche, alla fine si arrivi alla vendemmia e si dichiarino, nella migliore delle ipotesi, solo piccole diminuzioni produttive?
La verità è rivoluzionaria (in positivo aggiungiamo noi), qualcuno molto più noto di noi scriveva molti anni fa.

Non tutto il gelo vien per nuocere a patto che
Le gelate di queste ultime due settimane ci hanno ricordato ancora una volta le complessità e i rischi della vitivinicoltura e le ragioni di come mai il vino rimane un prodotto dalle peculiarità uniche molte delle quali impongono prezzi, posizionamento mai al di sotto di alcune soglie