Dieci anni di esperienza come esperto tecnico-scientifico in Cina, una formazione come consulente vitivinicolo, Alberto Cugnetto, ha una conoscenza del mercato cinese molto approfondita, tanto da fondare insieme ad un partner locale un’azienda di servizi dal nome ViniCina.
ViniCina è nata un anno fa dall’esperienza di Alberto Cugnetto e del socio cinese Feng Zhengguo, incontratisi in una delle missioni tecnico-scientifiche a cui Cugnetto partecipava in qualità di esperto del settore vitivinicolo per il Ministero degli Affari esteri in Cina.
Dalla nostra conversazione con l’esperto emerge una visione della Cina come Paese diviso nelle abitudini di consumo, sud e nord sono molto diversi per questioni climatiche e politico-economiche, e nelle aree metropolitane, dove il consumo di vino è più diffuso, possiamo suddividere le città tra quelle di prima, seconda, terza e quarta fascia (forse la gerarchia che meglio classifica la Cina oggi). Abbiamo rivolto a Cugnetto alcune domande per capire dal suo osservatorio in che modo affrontare il Paese del dragone e quali sono le maggiori difficoltà per i vini italiani.

Quali sono le problematiche più comuni che possono sorgere in Cina?
Prima di tutto è necessario conoscere oltre alle dinamiche logistiche e legali, anche quelle di carattere comportamentale. In Cina esiste la “Guanxi”, letteralmente “relazione”, rete di contatti. Tutti gli esperti di mercato sono concordi nel sostenere che la più importante variabile culturale per operare con successo in Cina consiste nel sapere costruire e poi gestire le relazioni.
Queste dinamiche vengono declinate anche al mondo dell’importazione: le dogane sono fiscali, cambiano spesso i dirigenti e la struttura è molto burocratizzata. In un contesto di questo tipo i dirigenti non ci pensano due volte per qualunque minimo errore a bloccare la merce, che può rimanere in giacenza per lunghi periodi. Parlando di campionature ad esempio, è pratica comune delle aziende sottofatturare la merce rispetto al valore di mercato in quanto campioni. Capita però che le dogane vadano spesso online e verifichino il prezzo reale delle bottiglie e dunque bloccano la merce, chiedendo il pagamento di multe salate. Consiglio di fatturare sempre al prezzo giusto le bottiglie anche se sono a scopo promozionale.

Come si situa l’Italia rispetto al mercato cinese?
La Cina è oggi uno dei traguardi che l’Italia dovrebbe porsi. Siamo il quinto Paese esportatore in Cina (davanti a noi anche la Spagna), mentre il primo al mondo per produzione di vino. C’è qualcosa che storicamente non è andato come avrebbe dovuto.

Quali sono le cause, secondo Lei?
Oltre alle storiche problematiche di origine politica, essenzialmente legate alla scarsa qualità della rappresentanza in questo specifico Paese, vi sono delle barriere culturali che complicano la situazione. Prima di tutto ho notato che noi italiani abbiamo una certa reticenza a fare affari con i cinesi, siamo diffidenti nei loro confronti.
Inoltre, una grossa difficoltà di comunicazione è costituita dalla lingua. Chi oggi detiene il potere in Cina sono persone tra i 40 e i 60 anni, e fra loro solo 1 su 10.000 parla un buon inglese.
Si inseriscono poi aspetti culturali legati alla loro percezione degli affari e del mondo, completamente diversa dalla nostra. Ad esempio loro hanno una visione circolare del tempo, approccio tipicamente orientale, dunque mettere fretta ad un cinese, cosa che accade di norma nella nostra società, è considerato un atto di maleducazione.

Che differenze di consumo ci sono tra il nord e il sud del Paese?
A sud vanno maggiormente i vini leggeri e di pronta beva, mentre a nord i prodotti più alcolici, ma anche lo spumante. In generale i bianchi fermi fanno molta fatica a decollare, mentre i vini dolci spumanti o meglio con un residuo zuccherino più alto vanno per la maggiore. Anche i vini rossi devono avere una buona rotondità e non devono essere troppo acidi/tannici, il consumo di vino è poco legato al pasto e quindi necessitano di vini di facile beva.

Come avviene la distribuzione della gerarchia delle città?
In Cina esistono le città di prima, seconda, terza e quarta fascia.
Le città di prima fascia come Pechino, Shanghai, Tianjin, Guangzhou sono i luoghi dove emergono i trend di consumo, sono città globalizzate, dove non è facile ritagliarsi un posto in mezzo alla concorrenza. Quelle di seconda fascia (Changsha, Dalian, Fuzhou, Guiyang, Hangzhou, Harbin, Qingdao, Jinnnan) invece emulano le prime con uno scarto di 4-5 mesi, ma hanno la stessa clientela con le stesse capacità di acquisto.
Nelle città di terza fascia (Beihai, Foshan, Chanzhou, Nantong), non sempre ci sono le stesse necessità di consumo delle altre città più grandi, si beve meno vino, ma qui l’economia sta correndo velocemente e le proiezioni di crescita sono proporzionalmente più elevate.

Dove investire dunque in Cina oggi?
Dipende dalla forza dell’azienda. Nelle città di prima fascia sono tutti lì, è costoso essere rappresentati, fare promozione, si ragiona all’occidentale, ma c’è l’opportunità di fare il colpo grosso, seppur sporadica.
Se io fossi un’azienda medio-piccola punterei invece sulla seconda o terza fascia, dove è meno costoso essere rappresentati, non c’è grossa competizione e le possibilità di guadagno sono più elevate. Le città di seconda e terza fascia sono anche quelle in cui è più conveniente agli imprenditori stranieri e italiani investire e fare affari, perché la classe media aumenta e si aprono nuove opportunità di business. Nelle città di 4a fascia non è ancora il momento di investire in promozione.

Che strategie consiglia di mettere in atto?
Per esperienza personale ci sono alcune attività che hanno maggiore successo in Cina ed altre meno.
Ad esempio molto costosi e chiassosi, ma che non portano grandi risultati sono gli articoli su giornali importanti: apparenza, ma feedback commerciali pochi.
Molto positivi, invece, sono gli eventi in ristoranti, alberghi, locali: serate ad invito rivolte a consumatori selezionati, distributori, buyer, professionisti del settore.
Un’altra attività molto utile è l’incoming. Noi ad esempio abbiamo pensato per alcuni clienti specifici di lanciare una sorta di contest ai distributori: se ci facevano ordini di un certo valore, avrebbero vinto un viaggio in Italia. Li abbiamo incentivati ad acquistare, lo hanno fatto e sono venuti anche a visitare l’azienda in Italia con molto piacere. Li abbiamo fidelizzati.

Quali sono i Suoi consigli finali?
È importante dare il tempo a questo mercato, lasciarlo crescere in maniera lenta e sostenibile, individuando dei partner affidabili in loco (cosa assolutamente non facile). Con i cinesi è necessario avere pazienza: sono sempre in dubbio che la merce che vendiamo sia merce contraffatta cinese. Occorre tempo per convincerli e fidelizzarli.
I cinesi sono curiosi, ma si informano in modo effimero, sui social network, dunque è importante avere cura di questi canali di comunicazione in Cina, che non sono gli stessi nostri: Wechat, Weibo vanno per la maggiore.
Inoltre, ricordo alle aziende di registrare marchi ed etichette sempre prima di andare in Cina, altrimenti l’importatore non vi accetterà.
Infine, il prezzo è una forte leva di marketing. Oggi un importatore cinese fa fatica ad acquistare ex-work a più di 2,50-3 euro una bottiglia che poi viene venduta come minimo all’ingrosso al doppio (6 euro); le tasse di importazione sono alte ed i costi logistici per gli importatori sono importanti. Lo stipendio medio di un cinese è di 350-450 euro al mese, dunque per lui acquistare una bottiglia a 6 euro equivale a 20 euro per un italiano. Hanno un terzo della nostra capacità di acquisto e difficilmente comprano quello che non conoscono.

http://www.vinicina.com/english/index.html