Alcuni giorni fa, prima dell’inizio di una tavola rotonda in Friuli, abbiamo avuto l’occasione di confrontarci sul tema della comunicazione del vino con Attilio Scienza, quello che oggi possiamo considerare il più autorevole scienziato vitivinicolo italiano, ma anche un ricercatore fuori dagli schemi accademici che da sempre ama le “contaminazioni” culturali riuscendo ad coniugare in maniera esemplare sia gli aspetti tecnico-scientifici a quelli storici, economici ma anche sociologici e antropologici.
Tutto questo fa del prof. Scienza anche uno straordinario comunicatore ed oggi lo si può considerare anche un autorevole esperto di questa complessa tematica così importante per il mondo del vino.

“Dobbiamo essere onesti” ci spiega Scienza con quel suo tono inconfondibile e la sua straordinaria gioviale vitalità “la rivoluzione economica e sociale di questi ultimi anni ci obbliga necessariamente anche a modificare profondamente la comunicazione del vino. Se pensiamo di proseguire sulla strada vecchia entro breve rischiamo di non avere più nessuno che ci ascolta”.
Difficile non essere d’accordo con il professore, ma non è facile trovare nuove vie di comunicazione.
Certo non è facile ma per farcela dobbiamo abbandonare alcuni nostri modelli, stereotipi e iniziare ad ascoltare meglio i nostri consumatori, ma anche ad accettare la contaminazione di altri comparti. È pericoloso oggi avere la presunzione di trovare le risposte solo all’interno del nostro settore.

Gli chiediamo: “Ma lei qualche idea per rendere oggi più adeguata la comunicazione del vino ce l’ha?”. Ci risponde: “Io penso che dobbiamo partire da un presupposto chiave. Quali sono le figure che maggiormente toccano la sensibilità di tutti noi, che alimentano sogni, che affascinano? Sono gli eroi. Cioè figure che escono fuori dagli schemi di comportamento classici, che hanno storie uniche e irripetibili, che stimolano costantemente la nostra curiosità, interesse. Tutti nella nostra esperienza di vita abbiamo in un modo o nell’altro delle figure eroiche che ci hanno segnato”.
Ci sembra suggestivo, ma ci chiediamo come si può trasferire questo tema dell’eroe su un mondo così particolare come quello del vino?
“Se è per questo il mondo del vino è forse quello dove sono presenti il maggior numero di eroi. Basta pensare ai terroir, molti di essi hanno storie mitiche da raccontare; per non parlare ovviamente di eroi in carne ed ossa come molti produttori ma anche aziende “mitiche”; e che dire dei vitigni, qui di eroi ne possiamo trovare a bizzeffe”.
Ricordando quest’ultima annotazione del prof. Scienza proprio in questi giorni leggendo la puntuale newsletter di The Drink Business, ci siamo imbattuti in un interessante articolo di Rupert Millar dal titolo “Ten grape myths and legends” (“Dieci vitigni mitici e leggendari”) che conferma appieno l’acuta analisi del nostro grande ricercatore.
“Una buona storia è un grande aiuto per un’azienda, un territorio di produzione. Aggiunge romanticismo, rende memorabile un luogo e le persone amano ricordare storie e fatti da raccontare ai loro amici” esordisce Millar nel suo articolo.
Millar evoca un personaggio “mitico” come Luke Skywalker della famosissima saga di “Guerre Stellari”, per fa capire il valore, l’importanza di un racconto che diventa “eroico”.
E dal noto personaggio frutto dell’immaginazione del grande George Lucas, Millar passa ad altri eroi come alcuni vitigni. Il noto giornalista inglese ne sceglie dieci che per varie ragioni possono essere considerati “mitici” o “leggendari”. Mitici perché portano con sé storie dove si mischia la leggenda alla realtà. Leggendari perché comunque evocano storie uniche.
Per sano spirito campanilistico partiamo dall’unico vitigno italiano presente in questo originale elenco: la Falanghina Flegrea che secondo il mito era la varietà base del “Falerno”, il vino più noto nell’antica Roma. Ma se il mito dice questo la realtà evidenzia come la Falanghina è sicuramente un vitigno antico probabilmente portato in Italia dai colonizzatori Greci nel 7° secolo a.C.
Ma se la realtà parla di un vitigno greco che oggi consideriamo a tutti gli effetti italiano, nell’elenco di Millar ne troviamo un altro che il mito lo voleva italiano e la realtà lo ha riportato nel suo territorio d’origine, l’Ungheria. Si tratta del Furmint considerato nei racconti mitici del passato italiano, spesso confuso con l’Altesse. Due bellissime storie alimentano il mito del Furmint, una di queste racconta di un monaco italiano invitato da Stefano II nel 12° secolo e che portò quest’uva come ideale per vini adatti all’Eucarestia.
Solo pochi indizi per far capire come non solo il professor Scienza abbia ragione ma che di possibili contenuti forti per alimentare i racconti dei nostri “eroi” del vino ne abbiamo moltissimi. Basta avere la voglia di andarli a scoprire.