Abbiamo avuto la fortuna di vedere in anteprima “Ritorno in Borgogna”, l’ultimo film del regista Cédric Klapish (diventato famoso in particolare con il film “L’appartamento spagnolo”).
Il film (che uscirà nelle sale in Italia il prossimo 19 ottobre) ci è piaciuto molto, abbiamo riso e pianto, ma non è di questo che vogliamo scrivere, anche perché non siamo critici cinematografici e lo abbiamo voluto guardare anche con l’occhio del “comunicatore di vino”.
E’ un film che, dal nostro punto di vista, è riuscito a non cadere, come spesso è accaduto nel passato, nei soliti stereotipi legati al mondo del vino. Il vino, la vigna, il territorio di produzione (la mitica Borgogna) sono presenti, ovviamente, ma mai in maniera invadente, banale.
Sono un sottofondo costante ma che consente ai tre fratelli protagonisti del film di parlarsi e, soprattutto, di ascoltarsi.
Di ascoltare la propria terra, innanzitutto. Una terra ereditata da genitori che non ci sono più, che avevano visioni diverse dalle loro ma che hanno lasciato loro un qualcosa che va ben aldilà di una proprietà, di semplice denaro.
Uno straordinario riferimento quello che Kaplish fa al complesso tema del cambio generazionale nel mondo del vino. Lo fa con leggerezza ma senza mai cadere nella superficialità.
Non è facile ereditare la terra, la vigna, la cantina e tutto ciò che ne consegue. Lo sanno bene quei numerosi giovani che incontriamo spesso nel nostro vagare per cantine e che si trovano oggi alle prese con aziende che non hanno costruito loro ma alle quali vorrebbero dare la propria impronta.
Ma la terra, la vigna nel film di Kaplish rappresenta anche una straordinaria metafora della vita:”Solo lavorando la terra ti rendi conto di appartenerle”, così pensa Jean, il fratello maggiore, rientrato in Borgogna dopo dieci anni di lontananza.
Ma quello di Kaplish è anche un film sulla riappacificazione rispetto al passato e nulla meglio del vino consente di parlare di “tempo” e del “tempo”.
A questo riguardo molto indicativo quello che dice il fratello maggiore alla propria compagna con la quale condivide la proprietà di un’azienda vitivinicola in Australia: “Qui (in Borgogna ndr) non si fa vino per i prossimi due anni, ma per dieci, vent’anni. In Australia, invece, tutto deve essere giovane”.
Ma ancor più paradigmatica la risposta del vecchio collaboratore al possibile rischio di vedere l’azienda per la quale ha lavorato per decenni venduta ad altri:”Non guardo il meteo oltre i tre giorni”.
Una eccellente esemplificazione di come la terra ti costringa a vivere sempre il presente.
C’è poi il vino, questo straordinario liquido capace di raccontare storie e di avvicinare le persone come poche altre bevande, anzi come nessun’altra.
Il vino riunisce i tre fratelli (a questo proposito forse più corretto il titolo originale “Ce qui nous lie”, ciò che ci unisce), li obbliga a confrontarsi tra loro, li costringe a crescere, ad essere onesti e realisti. Li spinge ad esprimere le proprie visioni, di fare i conti con le visioni di chi li ha preceduti ma anche con i competitor del proprio territorio.
Su quest’ultimo aspetto Kaplish fa una scelta molto precisa enfatizzando la scelta “biodinamica” dei tre fratelli, ma lo fa senza esasperazioni ideologiche ma semplicemente come una inevitabile espressione di chi vuole una terra più pulita, migliore di quella che hanno ereditato.
“Guarda che anche tuo padre spruzzava il Cimoxanil quando il rischio della muffa era elevato come quest’anno”, dice un vicino produttore a Jean. “Ma io non sono mio padre”, l’inevitabile risposta.
Ma il vino è presente anche come espressione della personalità di chi lo produce. E Juliet, la sorella enologa, sceglie la propria via per esprimersi nei suoi vini e dopo la prima annata tutta sua i due fratelli commentano “Sono vini come lei, come il suo carattere…”.
Anche questa è una grande verità del vino e bravo a Kaplish per averla fatta emergere senza retorica.
Ma alla fine è l’amore il vero filo conduttore.
“Ma l’amore” – dice Jean alla sua compagna per farle capire come lui sia cambiato nel tempo – ” è come il vino, serve tempo. Deve fermentare”.
Il film si conclude così come è iniziato, in mezzo ad un vigneto, tre fratelli ad assaggiare l’uva per capire quando è il giorno giusto per iniziare la vendemmia.
“Martedì?”, i tre fratelli si guardano, sorridono e annuiscono.