Nei giorni scorsi un produttore, presente ad uno dei nostri seminari formativi, ci ha chiesto:”Faccio bene a rimanere aderente alla mia identità produttiva più autentica senza farmi condizionare troppo dal mercato? Sa io produco vini che non rispecchiano perfettamente i canoni classici più richiesti oggi dal mercato (morbidezza, rotondità, potenza, struttura, ecc.), dovrei essere più disponibile a modificarli?”.
Una domanda “semplice” che probabilmente si fanno molti produttori quotidianamente. Una domanda che potremmo sintetizzare in un’altra ancor più diretta:”Fino a che punto mi devo far condizionare dal mercato?”.
Non è ovviamente semplice dare una risposta secca ad una domanda così complessa ma è importante affrontare questo quesito, a nostro parere, con assoluta libertà di pensiero, senza nessuna pregiudiziale ideologica. Da tempo è  finita l’epoca di chi vedeva nel mercato il demone e oggi vi è una consapevolezza diffusa che il mercato è fatto di moltissimi volti ed è pertanto capace di offrire opportunità alle più disparate anime produttive.
Ma è altrettanto evidente che non sarà mai il “mercato a venirci a trovare” ma l’esatto contrario.
E allora, tornando alla domanda iniziale, fino a che punto dobbiamo “farci condizionare” dal mercato?
La prima parte di risposta che ci sentiamo di dare è che il mercato ci condiziona in maniera direttamente proporzionale alla nostra difficoltà di conoscere e riconoscere la nostra identità produttiva.
Più non sappiamo esattamente chi siamo, più non conosciamo i nostri punti di forza e di debolezza, più non siamo in grado di definire una corretta gerarchia dei nostri fattori identitari, maggiormente saremo costretti a subire l’impatto del mercato ma nella sua forma più basilare e aggressiva, cioè quella del prezzo.
E’ questa la ragione per cui, ci piaccia o no, non si possono costruire strategie di marketing, commerciali senza partire dalla costruzione e dall’analisi approfondita della nostra identità produttiva.
Superato questo primo test, pre requisito fondamentale per andare oltre, torniamo alla domanda iniziale.
Non è necessario seguire le richieste più classiche (e scontate) del mercato se siamo disponibili ad accettare i nostri limiti, a partire da quelli quantitativi, ma non solo quelli.
Oggi il mercato è molto più “democratico” di come talvolta lo disegniamo. E’ molto più disponibile ad accettare le moltitudine di diversità rispetto a quanto si possa spesso immaginare.
Anche nei cosiddetti Paesi emergenti dove, spesso in maniera semplicistica, descriviamo un modello di consumatore omologato, si evidenziano molte stratificazioni e diversificazioni.
Pertanto se la preoccupazione è quella che possa non esistere un “mercato” che ci può accettare, possiamo fugarla subito.
Ma questo non deve nemmeno fare illudere che esistano praterie per tutti.
Ed è qui che si evidenzia la necessità di cercare la propria nicchia.
Ma oggi, epoca in cui tutti parlano di nicchie di mercato, vi è poi una scarsa disponibilità ad accettare il limite dimensionale delle nicchie. E questo errore purtroppo talvolta lo commettono anche le aziende cosiddette artigianali.
“Ma sa – alcuni piccoli produttori spesso ci raccontano – abbiamo fatto investimenti importanti in vigna, in cantina, non possiamo limitarci a certi numeri di vendita”.
In questa affermazione, per carità del tutto legittima, si annida il vero “demone”. Un demone che ti porta a cambiare pelle ancor prima che tu abbia capito di che colore era.
Ma in questo caso il mercato non c’entra nulla, è solo un alibi.
E la risposta vera, quindi, in conclusione, è quella che si è dato lo stesso produttore che ci aveva posto la domanda all’inizio di questo articolo:”Non produco molte bottiglie, le vendo tutte a clienti che nel tempo sono riuscito a fidelizzare e che mi coccolo con cura e attenzione. Ogni tanto sogno di crescere ma poi mi sveglio e mi va bene così come sono”.
Grazie Mario.